Primo Maggio: quanto sono i lavoratori che hanno festeggiato? Purtroppo, continuiamo ad avere il tasso di occupazione tra i più bassi d’Europa. Il Sud Italia ha meno occupati della Grecia. Dall’inizio della crisi abbiamo perso 625.600 posti di lavoro, anche se tra il 2014 e il 2015 ne abbiamo recuperati 186.500.
A festeggiare il 1° maggio sono stati circa 22 milioni e 500 mila italiani (lavoratori dipendenti più autonomi) e sebbene gli ultimi dati presentati ieri sulla disoccupazione dall’Istat ci dicono che le cose stanno migliorando, il nostro paese continua a registrare dei ritardi occupazionali molto preoccupanti. Tra i 28 Paesi dell’Unione europea solo la Croazia (55,8%) e la Grecia (50,8%) presentano un tasso di occupazione più basso del nostro (56,3%).
Questo tasso, ricordano dalla CGIA di Mestre, è ottenuto rapportando il numero degli occupati presenti in un determinato territorio e la popolazione in età lavorativa tra i 15 e i 64 anni. Questo indice consente di misurare il livello di occupazione presente in una nazione. Al netto di disoccupati, scoraggiati e inattivi emerge che in Italia la platea degli occupati registra un gap di 17,7 punti percentuali con la Germania, di 16,4 punti con il Regno Unito e di 7,9 punti con la Francia. “Quando analizziamo i dati riferiti al mercato del lavoro”, dice il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA, Paolo Zabeo, “l’attenzione è quasi sempre rivolta all’andamento del tasso di disoccupazione. In realtà il tasso di occupazione è più importante, perché lega questo indice a doppio filo con il livello di produzione di ricchezza di un’area. In altre parole, tra il numero di occupati e la ricchezza prodotta in un determinato territorio c’è un rapporto diretto. Al crescere dell’uno, aumenta anche l’altra”.
IN EUROPA TASSO DI OCCUPAZIONE BASSO SOLO PER L’ITALIA
Se dal confronto con il tasso di occupazione medio dell’Unione europea il nostro Paese sconta un differenziale di 9,3 punti percentuali, nel tasso di occupazione femminile (pari in Italia al 47,2 per cento) lo scarto con la media Ue è di 13,2 punti, mentre in quello giovanile (attestatosi nel 2015 al 15,6 per cento), è di 17,5 punti percentuali.
A livello territoriale è il Mezzogiorno a presentare le maggiori difficoltà. Quasi tutte le regioni registrano un tasso di occupazione inferiore addirittura a quello greco: la Sardegna, ad esempio, presenta 0,7 punti percentuali in meno rispetto al dato medio di Atene, il Molise 1,4, la Basilicata 1,6, la Puglia 7,5, la Sicilia 10,8, la Campania 11,2 e la Calabria 11,9. “Per ridare slancio all’occupazione”, dice il segretario della CGIA, Renato Mason, “dobbiamo tornare a investire, visto che negli ultimi 8 anni questo indicatore ha subito una caduta verticale di quasi 30 punti percentuali. Altrimenti, c’è il pericolo che il nostro paese perda la sfida dell’innovazione, della ricerca, della competitività e scivoli in una stagnazione economica senza vie d’uscita”. In termini assoluti la base occupazionale del nostro paese è composta da quasi 22 milioni e mezzo di persone. Dall’inizio della crisi (2008) al 2015 abbiamo perso 625.600 posti di lavoro, anche se tra il 2014 e il 2015 siamo riusciti a recuperarne circa 186.000. Calabria (-11,9%), Molise (-9,7%), Sicilia (-8,5%) e Puglia (-8,4%) sono le regioni dove la contrazione in termini percentuali del numero degli occupati è stata la più preoccupante in questi 8 anni.
Se gli occupati sono tornati a crescere e sfiorano i 22,5 milioni di unità, in Italia i disoccupati sono circa 3 milioni, gli inattivi 14 milioni e le unità di lavoro standard in nero (ovvero i lavoratori non dichiarati) sono poco più di 3,1 milioni di unità. Quest’ultima categoria è composta da dopolavoristi, da pensionati, da disoccupati,
da cassaintegrati e da una buona parte di persone che non ha un posto di lavoro e ha deciso di non cercare più un’occupazione regolare. Il tasso di irregolarità è molto diffuso nel Mezzogiorno: le ultime statistiche disponibili sono riferite al 2013 e sono state elaborate dall’Ufficio studi della CGIA su dati Istat. La situazione più grave si presenta in Calabria (22,9 per cento), in Campania (21,4 per cento) e in Sicilia (20 per cento), mentre la media nazionale si attesta al 12,8 per cento.