Caro amico ti ringrazio, tu credi nella crescita illimitata ma ti sbagli.
Scusami se ti sembra incomprensibile questa mia lettera, non è scritta per offenderti, mi rifaccio alla lettera che Epicuro scrisse al suo amico Meneceo, provo a formattarla ai giorni nostri. Mi sento un po’ come il protagonista del bellissimo racconto di Herman Hesse, Narciso e Boccadoro, lo conosci? La vita è fatta di esperienze e ogni essere vivente sulla terra ha dei vissuti unici e irripetibili, è per questo che siamo diversi e le differenze vanno rispettate. Tutti aspiriamo a una vita felice. Vita felice: ma come? E’ questo il nostro conflitto di interessi. Oggi credo che le difficoltà che incontriamo a livello sociale ed economico, politico, (welfare?), siano dovute al fatto che non ci si accontenta, ci autoinganniamo credendo che la crescita economica è l’unica strada percorribile per risolvere tutti i mali.
Si può e si deve rallentare con la testa, altrimenti ecco l’inganno che ci siamo costruiti seguendo i disegni astuti delle pubblicità, che ci trascinano in una depressione costante aumentando la disistima della nostra persona e la competizione contro altre persone frustrate come noi. Siamo in un’economia basata sul consumo e nessuno ha il coraggio di ammettere che si è disposti a tutto, anche a fare terra bruciata intorno a noi, in nome del profitto. Clima alteranti, inquinamento, guerre, degrado sociale, ingiustizie, discriminazioni, deforestazione, desertificazione, migrazioni di massa, debito pubblico, mafie, lotta di classe sono il risultato dell’equazione con in comune il denominatore profitto? E’ un po’ come lamentarsi dei politici che sono al governo che nessuno ha votato, che nessuno vuole ma che tutti sostengono “bevendo” dalla Tv il coktail di baggianate, fagocitando rotocalchi di basso rango. Nessuno vuole ammetterlo. Molte persone non si rendono conto che ambiscono solo a ottenere sempre di più, confrontandosi con chi possiede di più, mettendo i paraocchi nel non vedere che ci sono molte persone che stanno peggio. Se si orientasse lo sguardo in direzione delle persone che vivono in condizioni ambientali, salutari, culturali sociali ed economiche diverse e peggiori delle nostre, elaborando la sofferenza di chi vive con meno di due dollari al giorno, ne sono sicuro, si vivrebbe meglio tutti.
Un ex-collega in officina da pochi giorni ha terminato il suo secondo contratto a tempo determinato e un altro collega, rientrato dalle ferie imposte, mi ha domandato se avevo notizie di come stava il trentaduenne che ci ha da poco salutati. Abbassando la testa e con tono mesto ho risposto “Tu come ti sentiresti? Potrebbe capitare anche a noi, tu come reagiresti? Oggi io e te siamo in una condizione sempre migliore del nostro ex-collega, non credi?”
Credere che si vivrà per sempre, o che con una tinta ai capelli si rimarrà giovani per sempre, che con il Viagra si rimarrà ventenni per sempre… è un inganno, la delusione nello scoprire la realtà travolge nell’abisso dello sconforto, e allora ecco i portentosi rimedi messi a punto che fanno girare l’economia ed i Pil cresce! Bisogna accettare la realtà ed imparare ad accontentarsi. Non mi è mancato mai nulla di materiale nella vita, non voglio sembrarti ipocrita, ma tutto è impermanente, quello che succede ad altre persone può capitare anche a me,ed è verissimo! Se basassi la mia felicità sul potere di acquisto, nel momento in cui non disponessi di denaro, che cosa dovrei fare? Solo attraverso 400 cavalli contenuti in un potente Suv, mi sentirò forte, al sicuro e potente, virile? Se finisse il carburante il potente e prezioso “camion” sarebbe immobile parcheggiato al fianco di una comune e banale Panda, (tra l’altro eccellente veicolo in mio possesso). La storia però non si fa con i se ma con i non ostante. Nessuno vuole rinunciare a niente e si vuole sempre di più tutto e subito, perchè il mercato della crescita lo impone, il profitto lo impone. Si è felici solo se si acquista? Da tempo, parlando anche con amici imprenditori, forse in modo provocatorio, propongo loro di fare insieme un investimento: rilanciamo la produzione delle (obsolete) pellicole per macchine fotografiche, oggi che siamo nell’era digitale anche tu caro amico mi fermeresti nell’investimento. Tutto è impermanente, anche l’impero romano è crollato e poi sono arrivati i vandali e i barbari. Con la decrescita si cerca appunto di contrastare anche, a mio avviso, il ritorno alle barbarie. Bisogna ragionare sulle capacità di adattamento ed affrontare le realtà delle cose. Ecco come per magia che se mi accontento, non tramite l’austerità ben inteso, tramite coscienza, mi sento meglio, più leggero magari anche più ingenuo, ma più sereno e sopperisco alle asperità che la vita riserva.
Capisco che la non crescita economica ti vada un po’ stretta, lo rispetto, ma con la decrescita, che è anche autoprodurre yogurt, è la qualità della vita che migliora, ed è quello che mi attira.
Ti saluto.
Carlo Magnaghi
Lettera di Epicuro sulla felicità
Meneceo,
122 Mai si è troppo giovani o troppo vecchi per la conoscenza della felicità. A qualsiasi età è bello occuparsi del benessere dell’animo nostro. Chi sostiene che non è ancora giunto il momento di dedicarsi alla conoscenza di essa, o che ormai è troppo tardi, è come se andasse dicendo che non è ancora il momento di essere felice, o che ormai è passata l’età. Ecco che da giovani come da vecchi è giusto che noi ci dedichiamo a conoscere la felicità. Per sentirci sempre giovani quando saremo avanti con gli anni in virtù del grato ricordo della felicità avuta in passato, e da giovani, irrobustiti in essa, per prepararci a non temere l’avvenire. Cerchiamo di conoscere allora le cose che fanno la felicità, perché quando essa c’è tutto abbiamo, altrimenti tutto facciamo per possederla.
123 Pratica e medita le cose che ti ho sempre raccomandato: sono fondamentali per una vita felice. Prima di tutto considera l’essenza del divino materia eterna e felice, come rettamente suggerisce la nozione di divinità che ci è innata. Non attribuire alla divinità niente che sia diverso dal sempre vivente o contrario a tutto ciò che è felice, vedi sempre in essa lo stato eterno congiunto alla felicità. Gli dei esistono, è evidente a tutti, ma non sono come crede la gente comune, la quale è portata a tradire sempre la nozione innata che ne ha. Perciò non è irreligioso chi rifiuta la religione popolare, ma colui che i giudizi del popolo attribuisce alla divinità.
124 Tali giudizi, che non ascoltano le nozioni ancestrali, innate, sono opinioni false. A seconda di come si pensa che gli dei siano, possono venire da loro le più grandi sofferenze come i beni più splendidi. Ma noi sappiamo che essi sono perfettamente felici, riconoscono i loro simili, e chi non è tale lo considerano estraneo. Poi abituati a pensare che la morte non costituisce nulla per noi, dal momento che il godere e il soffrire sono entrambi nel sentire, e la morte altro non è che la sua assenza. L’esatta coscienza che la morte non significa nulla per noi rende godibile la mortalità della vita, senza l’inganno del tempo infinito che è indotto dal desiderio dell’immortalità.
125 Non esiste nulla di terribile nella vita per chi davvero sappia che nulla c’è da temere nel non vivere più. Perciò è sciocco chi sostiene di aver paura della morte, non tanto perché il suo arrivo lo farà soffrire, ma in quanto l’affligge la sua continua attesa. Ciò che una volta presente non ci turba, stoltamente atteso ci fa impazzire. La morte, il più atroce dunque di tutti i mali, non esiste per noi. Quando noi viviamo la morte non c’è, quando c’è lei non ci siamo noi. Non è nulla né per i vivi né per i morti. Per i vivi non c’è, i morti non sono più. Invece la gente ora fugge la morte come il peggior male, ora la invoca come requie ai mali che vive.
126 Il vero saggio, come non gli dispiace vivere, così non teme di non vivere più. La vita per lui non è un male, né è un male il non vivere. Ma come dei cibi sceglie i migliori, non la quantità, così non il tempo più lungo si gode, ma il più dolce. Chi ammonisce poi il giovane a vivere bene e il vecchio a ben morire è stolto non solo per la dolcezza che c’è sempre nella vita, anche da vecchi, ma perché una sola è la meditazione di una vita bella e di una bella morte. Ancora peggio chi va dicendo: bello non essere mal nato, ma, nato, al più presto varcare la soglia della morte.
127 Se è così convinto perché non se ne va da questo mondo? Nessuno glielo vieta se è veramente il suo desiderio. Invece se lo dice così per dire fa meglio a cambiare argomento. Ricordiamoci poi che il futuro non è del tutto nostro, ma neanche del tutto non nostro. Solo così possiamo non aspettarci che assolutamente s’avveri, né allo stesso modo disperare del contrario. Così pure teniamo presente che per quanto riguarda i desideri, solo alcuni sono naturali, altri sono inutili, e fra i naturali solo alcuni quelli proprio necessari, altri naturali soltanto. Ma fra i necessari certi sono fondamentali per la felicità, altri per il benessere fisico, altri per la stessa vita.
128 Una ferma conoscenza dei desideri fa ricondurre ogni scelta o rifiuto al benessere del corpo e alla perfetta serenità dell’animo, perché questo è il compito della vita felice, a questo noi indirizziamo ogni nostra azione, al fine di allontanarci dalla sofferenza e dall’ansia. Una volta raggiunto questo stato ogni bufera interna cessa, perché il nostro organismo vitale non è più bisognoso di alcuna cosa, altro non deve cercare per il bene dell’animo e del corpo. Infatti proviamo bisogno del piacere quando soffriamo per la mancanza di esso. Quando invece non soffriamo non ne abbiamo bisogno.
129 Per questo noi riteniamo il piacere principio e fine della vita felice, perché lo abbiamo riconosciuto bene primo e a noi congenito. Ad esso ci ispiriamo per ogni atto di scelta o di rifiuto, e scegliamo ogni bene in base al sentimento del piacere e del dolore. E’ bene primario e naturale per noi, per questo non scegliamo ogni piacere. Talvolta conviene tralasciarne alcuni da cui può venirci più male che bene, e giudicare alcune sofferenze preferibili ai piaceri stessi se un piacere più grande possiamo provare dopo averle sopportate a lungo. Ogni piacere dunque è bene per sua intima natura, ma noi non li scegliamo tutti. Allo stesso modo ogni dolore è male, ma non tutti sono sempre da fuggire.
130 Bisogna giudicare gli uni e gli altri in base alla considerazione degli utili e dei danni. Certe volte sperimentiamo che il bene si rivela per noi un male, invece il male un bene. Consideriamo inoltre una gran cosa l’indipendenza dai bisogni non perché sempre ci si debba accontentare del poco, ma per godere anche di questo poco se ci capita di non avere molto, convinti come siamo che l’abbondanza si gode con più dolcezza se meno da essa dipendiamo. In fondo ciò che veramente serve non è difficile a trovarsi, l’inutile è difficile.
131 I sapori semplici danno lo stesso piacere dei più raffinati, l’acqua e un pezzo di pane fanno il piacere più pieno a chi ne manca. Saper vivere di poco non solo porta salute e ci fa privi d’apprensione verso i bisogni della vita ma anche, quando ad intervalli ci capita di menare un’esistenza ricca, ci fa apprezzare meglio questa condizione e indifferenti verso gli scherzi della sorte. Quando dunque diciamo che il bene è il piacere, non intendiamo il semplice piacere dei goderecci, come credono coloro che ignorano il nostro pensiero, o lo avversano, o lo interpretano male, ma quanto aiuta il corpo a non soffrire e l’animo a essere sereno.
132 Perché non sono di per se stessi i banchetti, le feste, il godersi fanciulli e donne, i buoni ci e tutto quanto può offrire una ricca tavola che fanno la dolcezza della vita felice, ma il lucido esame delle cause di ogni scelta o rifiuto, al fine di respingere i falsi condizionamenti che sono per l’animo causa di immensa sofferenza. Di tutto questo, principio e bene supremo è l’intelligenza delle cose, perciò tale genere di intelligenza è anche più apprezzabile della stessa filosofia, è madre di tutte le altre virtù. Essa ci aiuta a comprendere che non si dà vita felice senza che sia intelligente, bella e giusta, né vita intelligente, bella e giusta priva di felicità, perché le virtù sono connaturate alla felicità e da questa inseparabili.
133 Chi suscita più ammirazione di colui che ha un’opinione corretta e reverente riguardo agli dei, nessun timore della morte, chiara coscienza del senso della natura, che tutti i beni che realmente servono sono facilmente procacciabili, che i mali se affliggono duramente affliggono per poco, altrimenti se lo fanno a lungo vuol dire che si possono sopportare ? Questo genere d’uomo sa anche che è vana opinione credere il fato padrone di tutto, come fanno alcuni, perché le cose accadono o per necessità, o per arbitrio della fortuna, o per arbitrio nostro. La necessità è irresponsabile, la fortuna instabile, invece il nostro arbitrio è libero, per questo può meritarsi biasimo o lode.
134 Piuttosto che essere schiavi del destino dei fisici, era meglio allora credere ai racconti degli dei, che almeno offrono la speranza di placarli con le preghiere, invece dell’atroce, inflessibile necessità. La fortuna per il saggio non è una divinità come per la massa – la divinità non fa nulla a caso – e neppure qualcosa priva di consistenza. Non crede che essa dia agli uomini alcun bene o male determinante per la vita felice, ma sa che può offrire l’avvio a grandi beni o mali.
135 Però è meglio essere senza fortuna ma saggi che fortunati e stolti, e nella pratica è preferibile che un bel progetto non vada in porto piuttosto che abbia successo un progetto dissennato. Medita giorno e notte tutte queste cose e altre congeneri, con te stesso e con chi ti è simile, e mai sarai preda dell’ansia. Vivrai invece come un dio fra gli uomini. Non sembra più nemmeno mortale l’uomo che vive fra beni immortali.