Gli Stati Uniti d’America importano dalla Germania dal 22 al 29% dei propri prodotti alimentari stranieri. Dall’Italia solo il 20%. Come mai? Eppure il mercato Americano, potrebbe offrire opportunità molto concrete alle imprese italiane attanagliate da un mercato domestico asfittico e con poche speranze di ripresa, ma è ancora un mercato poco sfruttato dalle nostre imprese.“Esportare e vendere negli Stati Uniti”: è il titolo di un libro realizzato da Lucio Miranda* e Muriel Nussbaumer, edito da Hoepli e diretto alle aziende che desiderano entrare negli Stati Uniti d’America. “Rispetto a Paesi come Cina, Brasile, India e Russia – dove inserirsi sul mercato è sempre difficoltoso – gli Stati Uniti offrono un sistema politico e giuridico stabile e imparziale, regole di diritto certe, una burocrazia snella, infrastrutture e servizi sviluppati, una logistica impeccabile e un settore pubblico efficiente”, afferma Lucio Miranda, autore del libro e fondatore della società di consulenza ExportUSA. “Eppure incontriamo molte aziende italiane che magari vorrebbero esportare, ma spesso non sanno come fare o magari si spaventano o pensano di non essere all’altezza. Per questo abbiamo scritto questo libro, perché ci sono opportunità che non possiamo più permetterci di non cogliere”.
– Quali sono i principali ostacoli che le Pmi italiane incontrano quando decidono di iniziare una relazione commerciale con gli Stati Uniti?
“Direi che il problema principale è legato all’atteggiamento mentale. Molto spesso, le aziende vedono e gestiscono il rapporto non come un investimento, ma alla stregua di una semplice trattativa di vendita, quasi si trattasse di un agente o di un dettagliante della città accanto. Così, si finisce per non tenere in considerazione le dimensioni del mercato americano e tutto quello che un’attività di questa grandezza comporta per gli operatori locali (agenti, distributori, grossisti). Le dimensioni del mercato impongono all’intermediazione un modo di agire diverso da quello cui si è, forse, abituati in Italia. I rischi – ma anche le possibilità di guadagno – sono molto più alti; in quest’ottica, allora, la logistica diventa un elemento cruciale, la concorrenza è molto più alta che non in Italia e ci sono molti più prodotti che attirano l’attenzione del consumatore. Diventa indispensabile, allora, pianificare l’ingresso nel mercato americano, destinarvi le risorse – umane e finanziarie – adeguate e valutare, nel lungo periodo, il ritorno dell’investimento”.
– Quali sono le principali paure delle stesse Pmi italiane nell’affrontare il mercato statunitense con un buon margine di successo?
“Credo che le paure e le perplessità più comuni siano legate agli aspetti culturali e commerciali. Una domanda che ci sentiamo rivolgere spesso è “Ma in America questa determinata cosa come funziona? Ma in America come si fa?” Paradossalmente, però, le paure sono più legate alla realtà del fare business in Italia: “Come faccio in America se non ci sono in notai? Chi mi rilascia il permesso di importazione? Otterrò mai questa licenza?”
– Quali sono i principali plus burocratici, fiscali, amministrativi e logistici che gli Stati Uniti offrono alle aziende che vogliono esportare o trovare sbocchi per i propri prodotti?
“Qui la distanza dalla realtà italiana è siderale e va letteralmente misurata in anni luce. Battute a parte, è innegabile che le procedure americane siano immensamente più snelle, facili e veloci. Cominciamo a dire che negli Stati Uniti non ci sono i notai, non si versa l’IVA e l’unica incombenza in termini di adempimenti fiscali sono la dichiarazione dei redditi di fine anno ed il pagamento dell’anticipo tasse ogni tre mesi. L’approccio amministrativo poi, è, diametralmente opposto a quello italiano. In Italia tutto o quasi funziona con autorizzazioni preventive, permessi e certificazioni. In America, invece, l’approccio è molto diverso: l’ente governativo pubblica la normativa, l’azienda – in autonomia – si informa, si adegua e parte senza dover chiedere e/o aspettare autorizzazioni e, alla fine, si verificherà (davvero) se tutto è a norma. Se, in fase di controllo, risulta che l’azienda non ha osservato le norme o le procedure in modo corretto viene a cadere il rapporto fiduciario e allora diventa molto difficile continuare a lavorare”.
“Per quanto riguarda la logistica, come poi per moltissimi altri settori, dobbiamo affermare che il mercato è da sempre molto competitivo. Per questo motivo, dunque, sono nati operatori che garantiscono – a costi ragionevoli – soluzioni adeguate a coprire le più svariate necessità: grandi o piccoli spazi di stoccaggio, contratti a lungo termine o mese per mese, spedizioni domestiche a container o a singolo pezzo, consegne nel giro di 10-12 ore in tutto il paese oppure spedizioni a basso costo, possibilità di servizi collaterali come lavorazioni extra, ma anche emissioni di documentazione varia”.
– Quali sono i settori (food escluso) dell’economia italiana a cui sono più interessati i distributori e i consumatori statunitensi?
“Direi che i settori più interessanti per il mercato americano sono i beni industriali, quello dei macchinari/meccanica, i prodotti di design, le materie intermedie nelle preparazioni alimentari, i prodotti di nicchia, ma di di altissima qualità”.
Il volume offre una panoramica degli elementi chiave necessari per impostare una strategia di ingresso negli USA, prendendo in esame alcune aree per l’attività di impresa all’interno del sistema americano, come la logistica, il sistema legale, l’e-commerce, la costituzione di società di diritto locale e l’apertura di esercizi commerciali. Al settore alimentare, in particolare a quello del vino, per il quale l’Italia è già il primo paese esportatore ma in cui ancora molto si può fare, viene dedicato un capitolo a parte. Largo spazio è riservato anche a settori tipici del nostro export, come la moda, la meccanica, gli apparecchi elettromedicali e il design. Il volume si chiude con le interviste a diversi imprenditori italiani che sono riusciti a conquistare un mercato di rilievo anche negli Stati Uniti.
*Lucio Miranda laureato alla Bocconi e con un Master alla New York University, ha lavorato in diverse parti del mondo con incarichi di marketing e vendita prima di stabilirsi a New York. Già fondatore di Inetitalia, una web agency specializzata nello sviluppo di siti di e-commerce, assieme a Muriel Nussbaumer ha fondato nel 2003 ExportUSA New York, Corp. Società di consulenza che aiuta le aziende italiane a entrare nel mercato statunitense. Muriel Nussbaumer socia di ExportUSA, ha dedicato la sua carriera professionale alle vendite e gestisce i rapporti con i clienti in Italia. Esperta di business coaching, è stata responsabile vendite di Telecomitalia per il Trentino Alto Adige.