Il trattore italiano riprende velocità e si fa comprare dagli americani

I numeri sono in controtendenza e, in apparenza, anche contraddittori: quest’anno sono arrivati a Bologna ben 235.614 visitatori a vedere trattori, aratri, mototrebbiatrici, decespugliatori e altre diavolerie tecnologiche esposte all’Eima, Esposizione internazionale delle macchine agricole. Sono stati il 20% in più dello scorso anno e, in assoluto, il maggior numero mai registrato dalla sua nascita, il 1969. Nel frattempo, però, il mercato italiano ha continuato a ridimensionarsi: 13mila trattrici in meno rispetto al 2004, quando in Italia si immatricolavano 33mila macchine. E cifre analoghe registrano gli altri prodotti di questa industria.

Va detto che la produzione di macchine agricole ha rappresentato per lungo tempo un primato dell’Italia, che negli anni ‘80 era il secondo produttore mondiale dopo gli Stati Uniti. Poi, con la crisi del 2008 è iniziata una repentina e lunga curva discendente, fino ai numeri di oggi.
Eima, la fiera organizzata dall’associazione confindustriale dei produttori, Unacoma, è sempre stata tra le più importanti manifestazione mondiale del settore fin dagli anni in cui anche l’Italia si trovava ai vertici della classifica dei Paesi produttori. E adesso cosa succede?
“L’organizzazione della manifestazione ha intensificato il suo impegno sui mercati esteri fin dal 2006” dice Massimo Goldoni, presidente di Unacoma “quando la stessa denominazione, Eima, è stata modificata in Eima international. Oltre alle presenze straniere all’appuntamento bolognese, abbiamo iniziato delle partnership strategiche che ci hanno portato a esportare la formula Eima all’estero: in India siamo già presenti da sei anni e da quest’anno anche in Albania. Senza contare la versione mediterranea di Eima, Agrilevante, che realizziamo ogni due anni a Bari”.
E’ così che, su 1.800 espositori presenti a Bologna quest’anno, 650 erano stranieri. Sui circa 600 giornalisti accreditati, circa 250 erano stranieri. Con una significativa presenza dei cosiddetti Paesi emergenti: Cina e India, naturalmente, ma anche Vietnam, Indonesia, Argentina, Turchia, Ghana e altri ancora.
Proprio in queste aree del mondo, generalmente molto popolose e con tecniche di coltivazione arretrate, stanno mostrando fame di innovazione: 620 mila le trattrici che si saranno vendute quest’anno in India, seguita dalla Cina con 500 mila unità. Per l’Europa occidentale si prevedono 160 mila immatricolazioni mentre negli Usa si attesteranno sulle 100mila.
Ed è su quelle aree, una volta depresse, che hanno puntato i produttori italiani per recuperare il terreno perduto in patria. I risultati non sono mancati, ma stanno anche riservando qualche sopresa.
Il fatturato, però, non corrisponde necessariamente ai volumi. In Africa i produttori italiani hanno venduto nei primi sei mesi di quest’anno circa 24mila macchine, per un fatturato di 57 milioni di euro. Negli Stati Uniti, 18mila macchine hanno prodotto un fatturato di 90 milioni di euro”.
L’indicazione che arriva dalle cinque giornate bolognesi, quindi, è che bisogna continuare a parlare due linguaggi diversi con i due diversi mercati che si possono classificare, sommariamente, come “emergenti” e “consolidati”. Per i primi, bisogna pensare a degli acquirenti più numerosi ma con budget individuali più contenuti e minori necessità di aggiornamento tecnologico. I mercati più evoluti, come gli Usa, chiedono invece macchine più sofisticate e di dimensioni maggiori. Quindi, anche più costose.
“In realtà” precisano all’Unacoma “le economie emergenti stanno rapidamente evolvendosi sul piano delle esigenze alimentari. Quindi, anche per quel che riguarda l’agricoltura e la zootecnia. Stanno rapidamente passando da un’alimentazione povera a una dieta ricca di proteine e vitamine. Quindi, dalle diffuse coltivazioni di grano, soia, e più in generale legumi e cereali, si sta passando a incrementare l’ortofrutticolo, trascurato e pressoché sconosciuto in molte aree del pianeta, e gli allevamenti di bestiame, in controtendenza rispetto all’occidente che tende invece a ridurre l’apporto di carne alla propria dieta”.

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