Brexit, come tutelare la forza lavoro in mobilità internazionale?

Brexit rischia di cambiare completamente il volto della mobilità internazionale a fini lavorativi. Nel clima di incertezza attuale, è auspicabile per tutti gli europei che lavorano in Gran Bretagna, ma anche per i britannici operativi in Paesi membri dell’UE, nonché per i datori di lavoro di queste categorie di risorse umane, interrogarsi sulle opportunità offerte e sulle differenze in materia di fiscalità e diritto del lavoro.

BDO, network internazionale vanta una esperienza, grazie a professionisti specializzati nella gestione delle risorse umane in mobilità o distaccate all’estero.  Per quanto riguarda la situazione dei lavoratori italiani all’estero, secondo gli ultimi dati Istat (Migrazioni internazionali e interne della popolazione residente, dicembre 2018), nel 2017, in cima alla classifica e nonostante Brexit, è ancora il Regno Unito, grazie anche ad una fiscalità agevolata, a svettare con 21.000 emigrati italiani, seguita dalla Germania con 19.000. La Francia si ferma a 12.000 soggetti. In questi tre Paesi, a cui si aggiunge la Svizzera, si concentra complessivamente oltre il 60% degli espatri italiani verso l’estero.

Il 2019 inoltre si attesterà verosimilmente come anno di conferma di un trend iniziato già nel 2018 e che vede molti lavoratori italiani all’estero rilocare la propria sede di lavoro in Italia e molte aziende/ lavoratori esteri indicare il nostro paese come meta di distacco internazionale. Tale trend nasce ed è favorito dall’introduzione in Italia di regimi fiscali di favore per i lavoratori che (ri)acquisiscono la loro residenza fiscale in Italia: al ricorrere di determinate condizioni infatti tali lavoratori godono di una un’esenzione parziale per i redditi di lavoro dipendente prodotti sul territorio dello stato italiano.

“Ci si aspetta che gli accordi di “divorzio” della Gran Bretagna dall’Unione Europea includano alcune misure eccezionali per talune categorie di lavoratori – commenta Eleonora Briolini, Partner BDO Tax & Law. – In un’ottica di una hard o no-deal Brexit, tuttavia, è possibile che i lavoratori europei saranno semplicemente assoggettati alle medesime regole e restrizioni dei lavoratori immigrati da altri stati estranei all’UE. Allo stesso modo, i lavoratori britannici che vorranno lavorare in uno Stato membro dell’Unione dovranno ottenere dei regolari permessi di lavoro o una residenza di lungo termine. Tutto ciò avrà un impatto su questioni come gli orari di lavoro, contratti temporanei, minimi salariali.”

Lavoratore in uscita dal Regno Unito per rientrare in un altro Paese UE: quali le domande da porsi?
Se si è un dipendente, è innanzitutto buona norma comparare le aliquote fiscali tra i Paesi di riferimento e le leggi in materia di previdenza sociale, per capire cosa comporterà a livello monetario e personale l’uscita dalla Gran Bretagna. Occorre inoltre chiedersi se esistono dei regimi favorevoli per i lavoratori neo residenti come ad esempio avviene in Italia ed in Olanda.  È necessario considerare se le condizioni socio-economiche del paese di destinazione: abitazioni, sistema scolastico e sistema sanitario siano paragonabili a quelli del Paese di origine. Si tratta di un aspetto importante, che incide sul reddito famigliare nel caso ci si debba trasferire con partner e figli.
I datori di lavoro, dal canto loro, dovrebbero assicurarsi di concedere al dipendente il giusto salario e i benefit adeguati a mantenerne inalterato, se non a migliorare, il tenore di vita, cercando per esempio di capire quali contromisure possano mettere in atto per evitare che il dipendente si ritrovi con un reddito netto inferiore rispetto a quello del paese di partenza.  Una particolare attenzione deve, inoltre, essere prestata ai visti e permessi di lavoro necessari se il paese di origine o il paese di destinazione si trovano al di fuori dell’Unione Europea.

Quali Paesi europei potrebbero accogliere la forza-lavoro in uscita dalla Gran Bretagna?

Tra i Paesi europei che spiccano per agevolazioni rivolte alla forza lavoro estera, vi è la Francia che, nonostante gli alti livelli di tassazione generale, dimostra un occhio di riguardo per i dipendenti esteri. Per un periodo di 8 anni, essi sono esentati dalla tassazione sui guadagni riferiti a servizi prestati al di fuori dei confini francesi, così come sulle diarie che non formano parte del salario-base. Se i contributi di previdenza sociale vengono versati al di fuori della Francia, è disponibile una deduzione al fine di ridurre il guadagno netto tassabile entro i confini nazionali. Solo il 50% di dividendi, interessi, utili e royalties è soggetto a tassazione francese. Per tutti i nuovi residenti sul suolo francese, inoltre, per un periodo di sei anni esiste esenzione per la tassa patrimoniale per tutti i beni immobili e le proprietà in essi contenuti se situati al di fuori dei confini nazionali.

Le politiche italiane per l’attrazione di imprenditori e forza lavoro estera qualificata
In Italia sono circa 800.000 gli occupati comunitari (Fonte: Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Ottavo Rapporto annuale 2018 “Gli stranieri nel mercato del lavoro in Italia”, luglio 2018). Al primo gennaio 2018, gli occupati stranieri sono 2.422.864. Nel 2017, l’occupazione straniera è cresciuta di 0,1 punti nel caso dei cittadini UE (+1.088 unità). Il nostro Paese, negli ultimi anni, ha lavorato molto per creare un ambiente fiscale favorevole per attrarre forza lavoro straniera qualificata. I laureati che si trasferiscono in Italia per lavoro hanno diritto a un’esenzione del 50% sulla tassazione dei redditi personali per cinque anni, mentre tale esenzione sale al 90% per quattro anni in favore di ricercatori e insegnanti. Nel 2017, inoltre, è stata introdotta una flat-tax di 100 mila euro annui sui redditi esteri, contro la tradizionale tassazione a scaglioni. Tale misura – contenuta nella Legge di Bilancio 2017 ad opera del governo Renzi e rinominata “regime dei Paperoni” – è rivolta però agli individui particolarmente abbienti.

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