Cresce il disagio degli italiani

Sfiorano gli 8 milioni e mezzo le persone in difficoltà in Italia. Ai “semplici” disoccupati vanno aggiunte ampie fasce di lavoratori, ma con condizioni precarie o economicamente deboli che estendono la platea degli italiani in crisi. Un’enorme “area di disagio”: ai 2,87 milioni di persone disoccupate, bisogna sommare anzitutto i contratti di lavoro a tempo determinato, sia quelli part time (687mila persone) sia quelli a orario pieno (1,76 milioni); vanno poi considerati i lavoratori autonomi part time (766mila) e i contratti a tempo indeterminato part time (2,39 milioni). Questo gruppo di persone occupate – ma con prospettive incerte circa la stabilità dell’impiego o con retribuzioni contenute – ammonta complessivamente a 5,6 milioni di unità. Il totale del’area di disagio, calcolata dal Centro studi Unimpresa sulla base di dati Istat, comprende dunque 8,47 milioni di persone.

Il deterioramento del mercato del lavoro non ha come conseguenza la sola espulsione degli occupati, ma anche la mancata stabilizzazione dei lavoratori precari e il crescere dei contratti atipici. Di qui l’estendersi del bacino dei “deboli”. “Sono questi i numeri e gli argomenti su cui ragionare per capire quanto sono profonde la crisi e la recessione nel nostro Paese”, commenta il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi. “Può apparire anomalo che un’associazione di imprese analizzi il fenomeno dell’occupazione, quasi dal lato del lavoratore. Ma per noi la persona e la famiglia sono centrali da sempre, perché riteniamo che siano il cuore dell’impresa. Bisogna poi considerare che l’enorme disagio sociale che abbiamo fotografato ha conseguenze enormi nel ciclo economico: 8 milioni e mezzo di persone sono in difficoltà e questo vuol dire che spenderanno meno, tireranno la cinghia per cercare di arrivare a fine mese. Tutto ciò con effetti negativi sui consumi, quindi sulla produzione e sui conti delle imprese”. Secondo il presidente di Unimpresa “serve maggiore attenzione proprio alla famiglia da parte del Governo, soprattutto per chi dopo le il voto del 2013 avrà la responsabilità di guidare il Paese. Vorremmo vedere la parola famiglia in cima a tutti i programmi elettorali, ma non solo come slogan per aumentare il consenso”.

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