di Chiara Osnago Gadda. Ormai è un dato di fatto: viviamo in un momento storico nel quale si cerca di fare ciò di cui si ha urgente bisogno, tralasciando il superfluo. Nelle aziende il talento manageriale, ossia la capacità di essere concreti e risoluti nel raggiungimento di un obiettivo, è sempre più determinante. In particolare, i social network consentono di alimentare un sistema di informazioni verso l’interno, che per i dipendenti si traduce in un costante scambio di commenti e considerazioni su progetti e strategie, favorendo il flusso di informazioni. Senza dimenticarsi dei blog aziendali, che favoriscono il social sharing all’interno della stessa.
Ma vale la stessa logica anche quando si fa selezione del personale?
Lo abbiamo domandato a William Griffini, ceo di Carter & Benson, autorevole società di head hunting. Secondo il manager i social network “sono integrazioni di informazioni e come tali vanno valutati. Senza ombra di dubbio, arricchiscono il profilo e integrano le informazioni su un candidato. Ma restano informazioni non certificate. Lo scopo della selezione sta nel valore di riconoscibilità, della compatibilità con il profilo ricercato, nella veridicità e nella validità delle competenze e, più in generale, nella verifica dei goal ottenuti. Si entra, quindi, in un livello di informazioni che non possono esistere sui social. Nel processo di selezione viene valutata la compatibilità e la coerenza manageriale e non solo la competenza. Le caratteristiche personali che vengono messe in gioco devono essere customizzate volta per volta, con quella sensibilità relazionale necessaria a integrare il risultato all’interno del contesto. Del resto, con la talentuosità convivono necessariamente la versatilità e la semplicità di saper agire bene e velocemente, di puntare all’essenziale e non complicarsi la vita, inseguendo attività che magari sono importanti ma non utili al raggiungimento dell’obiettivo.”
Quindi la funzione dei social è quella di integrare le informazione più che le competenze?
“Esattamente! Non a caso, il processo di valutazione e riconoscimento, l’azienda deve comunque farlo. Peraltro, ci sono tanti metodi per riconoscere le competenze, assessment comportamentali, valutazioni di track record di successi aziendali, senza poi dimenticare tutta una serie di attività economiche e umanistiche e, non meno, l’esperienza manageriale del selezionatore / head hunter. E’ chiaro perciò che la capacità di fare assessment ti permette di arrivare a un livello di profondità dell’informazione che possa essere integrato e supporti al meglio la scelta manageriale. Ne consegue che ogni processo di sviluppo manageriale o di relazione manageriale passa da tre punti fondamentali: la riconoscibilità dell’area di miglioramento; la voglia di cambiamento dell’area di miglioramento; l’azione, cioè agire sulle modalità che ti permettono di cambiare. Il mondo digitale e i social network sono un chiaro elemento innovativo che crea lavoro e opportunità per l’impresa. E alla luce dei cambiamenti in atto, anche la professione dell’head hunter sta evolvendo e punta su flessibilità, costanza e visione più ampia del percorso a venire. Come società di head hunting abbiamo integrato tutte le tecnologie possibili: dal creare un’area dedicata ai candidati per restituire il feed back, al creare una survey digitale per il cliente che in questo modo esprime il suo feed back personale, fino a tutti i social network e i momenti d’interazione digitali che arricchiscono l’informazione legata ad un manager.”
In questi scenari come si stanno evolvendo le HR?
“Le due anime delle HR oggi, sono essenzialmente due: potere e costruzione. E’ necessario cambiare le regole del gioco per favore lo scambio delle informazioni, delle competenze manageriali e delle idee, non solo tra colleghi, ma anche tra capi e collaboratori. Un passo indispensabile per creare organizzazioni basate non più solo su gerarchie, ma anche sui contenuti e sul know how di modelli organizzativi che si basano sul contenuto organizzativo e condiviso all’interno dell’impresa, ognuno nella propria funzione. Un’impresa composta da azionisti, dirigenti, quadri e impiegati che non crei uno scambio tra queste parti, visto il livello intellettuale e culturale di tutte le parti coinvolte, rimarrà a un livello gestionale estremamente superato, dettato da regole di potere e di ruolo e non di bisogno reale e di contributo.”
E dunque cosa auspica?
“L’hr dovrebbe fare in modo che questo meccanismo funzionasse. Personalmente, preferisco uno scambio collaborativo piuttosto che una gestione padronale. Ma questo non sempre è facile che avvenga. Bisogna non solo distinguerla dall’alto, ma anche non farla passare come un accesso veloce per replicare il modello capo – collaboratore!”.