Cìè un’azienda italiana che per continuare a produrre ha biosgno di un presidio dello Stato davanti ai cancelli della fabbrica. E’ la Antonino De Masi di Gioia Tauro. Quante azien de italiane e imprenditori conoscono la sua storia?
Quaranta colpi di kalasnikof sono stati l’ultimo attacco all’azienda Comune di Marapoti cooperativa Il Cenacolo
Antonino De Masi è un imprenditore calabrese che vive ed opera a Rizziconi, nella Piana di Gioia Tauro. Sin da giovane segue l’attività fondata dal padre nel campo della meccanizzazione agricola e balza agli onori della cronaca per il forte impegno contro la criminalità. Le aziende De Masi, si sono sviluppate in tutto il mondo fino a divenire leader nel mercato ma, oggi la sua azienda è in crisi e non per motivi di mercato ma per mancanza di credito. Quel credito che non gli è stato più concesso dopo aver denunciato alcune tra le maggiori banche nazionali per aver commesso il reato di usura.
Dopo aver subito atti intimidatori, da anni vive sotto scorta assieme alla sua famiglia e la sua azienda è presidiata dall’esercito italiano. Dal 1° gennaio rischia di chiudere ciò che è rimasto della sua attività nonostante l’Unità di crisi del Ministero della Sviluppo Economico abbia avviato un tavolo di soluzione della vicenda da circa un anno. Oggi Antonino De Masi, rammaricato di non aver potuto operare in un contesto di legalità, chiede il sostegno dei calabresi onesti a fianco dei suoi lavoratori.
Antonino De Masi, lei è vittima della criminalità organizzata e dell’usura bancaria. Quali differenze e quali similitudini tra i due sistemi?
I due sistemi hanno in comune il crimine. Quest’ultimo consiste nel commettere fatti che vanno oltre la legge. Il sistema mafioso ‘ndranghetistico e quello criminale bancario abusano del proprio potere e di uno stato di sottomissione delle loro vittime. I due sistemi hanno molti punti di contatto, entrambi hanno la capacità di condizionare in negativo le risorse del territorio e di conseguenza le speranze e la possibile crescita dello stesso. Certamente non si può chiedere alla criminalità mafiosa di fare beneficenza, ma, si può chiedere ai banchieri di smettere di rubare e fare il loro mestiere operando nei limiti della legge. Questi pseudo colletti bianchi, però, sono pericolosi perché agiscono sullo scambio di favori e cortesie, colludendosi e facendo prosperare l’economia illegale e contemporaneamente vietando la crescita a quel poco di economia legale.
Voglio fare riferimento ad un fatto accaduto ieri: alcuni dipendenti aziendali, muniti di busta paga, si sono recati presso banche locali a chiedere un modesto prestito che non gli è stato concesso perché lavorano per la mia ditta. Ora si capisce bene che questi personaggi, squallidi direttori di banca, vendono la loro dignità mettendosi supini ai piedi dei padroni del potere criminale e fornendo ai mafiosi credito, supporto, leccano i piedi prostituendosi agli occhi dei potenti di turno, negando ai lavoratori di un’azienda seria i loro diritti. Questo è un meccanismo squallido e sconcertante perchè aumenta il divario tra la legalità e l’illegalità.
attentato de masiQuindi lei sta definendo il sistema bancario, quello deviato, un potere criminoso?
Queste sono parole pesanti. Io sto dicendo che questo è un territorio dove lo Stato non c’è, così come la società civile, c’è una società assente, omertosa e a volte collusa. Ci sono imprenditori collusi, sindacalisti collusi, lavoratori collusi e banchieri collusi. Il danno che, però, fanno i banchieri e i bancari collusi è enorme perché si preferisce per omertà, paura e rispetto dell’autorevolezza di un padrino, servire questi e non la dignità ed il rispetto per gli altri. Esiste, pertanto, un sistema economico e finanziario che si è assuefatto agli ordini criminali.
Secondo Lei, di quali azioni concrete ha bisogno la Calabria per svincolarsi da questo sistema e poter emergere nel campo della legalità.
La Calabria ha bisogno dei calabresi. Questi dovranno riappropriarsi della propria vita e della propria dignità, del proprio orgoglio, dei propri valori e principi. C’è bisogno di coraggio al fine portare avanti una rivoluzione culturale e morale, schierandosi apertamente dalla parte della legge. Bisogna smettere di non capire, non vedere e non sentire. E’ il momento di non sopportare più quella cultura filo mafiosa che ci ha portato ad essere quelli che siamo. La Calabria è la regione più “puzzolente” di Italia dal punto di vista dell’arretratezza morale, etica e legale e per poter cambiare ha bisogno di gente perbene, la maggior parte, che dica: basta! Noi non dobbiamo chiedere, ma, tirarci su le maniche, arrabbiarci, guardarci allo specchio e ripartire con le nostre forze, senza l’aiuto di nessuno.
Lei ha già incontrato il neo Presidente della Regione Calabria Mario Oliverio. Cosa si aspetta dalla nuova Giunta?
Io e la mia azienda non abbiamo bisogno di nulla, né di aiuti pubblici né di sostegni. La mia è un’azienda che aveva 280 dipendenti. Noi facciamo impresa da 60 anni nella Piana di Gioia Tauro con al fianco le organizzazioni sindacali e abbiamo creato un rapporto molto intenso con i nostri lavoratori. Facciamo parte tutti di una stessa famiglia. Questo significa che da noi non esiste lo schiavismo o il lavoro nero, ma, esiste il contratto di lavoro ed il rapporto di rispetto tra azienda e lavoratori e l’opera di affiancamento che questi ultimi stanno portando avanti è prova che in questa azienda la legalità si pratica e non si predica. Sol perché ho chiesto conto di verificare nei tavoli giudiziari l’operato delle banche, hanno deciso di chiudermi i conti e togliermi dal sistema creditizio bloccando, conseguentemente, la crescita e lo sviluppo della mia azienda. Oggi ho 150 dipendenti ed il 1° gennaio, purtroppo, l’azienda chiuderà. Non ci mancano il lavoro, la tecnologia ed il prodotto ma, tutto questo non basta. Non possiamo continuare ad operare senza un supporto creditizio. Io ho bisogno soltanto, e lo chiedo a tutti, che venga ripristinata la legalità, che chi ha sbagliato paghi e venga richiamato al rispetto della legge.
Ho chiesto, come tutti gli imprenditori di un Paese normale, che venga valutato il mio piano industriale e se questo è ritenuto degno e meritevole di sostegno chiedo che venga concesso il supporto creditizio. Non lo chiedo per il nome che porto. Io non sono un delinquente e nonostante ciò le banche mi stanno massacrando come se fossi portatore di chissà cosa. Io sono una persona perbene che ha cercato nei luoghi giusti rivolgendosi alla magistratura per avere giustizia sui crimini subiti.
L’unica cosa che mi serve è che venga ripristinata la legalità perché è impossibile combattere contro i mulini a vento.
Ha fiducia che nel prossimo futuro possa essere ripristinata la legalità?
No, non ho alcuna fiducia. Si tenga conto che io sto lottando contro un potere incredibile, qui si parla di soggetti criminali che hanno nel loro DNA il massimo profitto aldilà delle leggi. Pensi a quelle indagini giornalistiche in cui sembra che il manager di una banca si sia suicidato per poi leggere che sia stato buttato giù da una finestra.
Io sono consapevole che questa vicenda non finirà, come spesso avviene, con il cavaliere che sconfigge il drago o come Davide che sconfigge Golia ma, fino a che avrò forza e grazie alla mia caparbietà, determinazione e follia, combatterò fino all’ultimo respiro.
Non crede che per sconfiggere questo sistema sia necessario l’intervento di una politica sana che faccia gli interessi della comunità?
Qui è necessario che la politica capisca quale sia la sua mission e che tutti capiscano il concetto nobile dell’arte della politica stessa. Neanche chi governa il sistema bancario ha capito quale sia la sua missione. Il sistema finanziario è vigilato dalla Banca d’Italia che ha il compito di verificare ed accertare che i risparmiatori non subiscano illegalità da parte dei soggetti che operano in questo settore. L’art. 47 della cost. tutela il mercato creditizio facendolo divenire bene pubblico, pertanto, quando una banca “ruba” dei soldi danneggia si il risparmiatore ma in primo luogo il mercato creditizio in quanto bene pubblico.
Chi era e chi è Antonino De Masi.
Un folle che ha sempre creduto in una linea di demarcazione tra buoni e cattivi, un sognatore che rammenta ancora bene il libro “Cuore”, uno che forse ha sbagliato tutto nella vita credendo nelle fiabe.
Io sono un morto che cammina e sono convinto che prima o poi ne pagherò le conseguenze. Non so se sono stato di esempio ma, sono stato coerente con le mie follie e con quel sogno di legalità che ho cercato di coltivare e perseguire. Quel sogno che sicuramente non vedrò. Io volevo che questo modo di fare impresa fosse punto di riferimento per tutti, ma così non è.
Spero solo che un giorno la gente capisca che l’utopia e l’obiettivo di vivere in un Paese normale fossero realmente raggiungibili.
“Matteo Renzi venga qui a Gioia Tauro (provincia di Reggio Calabria) e discutere con i lavoratori dell’azienda Demasi che stanno per essere licenziati“. Cisl, Fiom e Uil hanno proclamato lo sciopero della fame fino a quando non ci saranno impegni precisi per salvare i posti di lavoro. La protesta non è nei confronti dell’imprenditore Nino Demasi, ma contro uno Stato che consente agli istituti di credito di non risarcire l’imprenditore vittima dell’usura bancaria. “È un fatto di civiltà – spiega il responsabile della Fiom Pasquale Marino – I lavoratori stanno lottando con le unghie e con i denti per un pezzo di pane. Qui c’è un’azienda che produce ma si è permessa di denunciare le banche perché gli hanno rubato i propri soldi. Si deve preoccupare un governo serio se tale è. Dobbiamo finirla con le belle parole”. “Finché avrò vita continuerò questa battaglia. – aggiunge l’imprenditore Demasi – Lo debbo a me stesso, a i miei figli e ai miei lavoratori. Questa azienda non ha bisogno né di aiuti pubblici, né di elemosina, né di cortesia. Le banche ci hanno proposto tre milioni di euro a fronte di oltre 200 che ho chiesto come risarcimento danni per l’usura bancaria. Se io pensassi solo ai miei interessi, prenderei quei soldi e me andrei dalla Calabria. Ma voglio continuare a fare l’imprenditore a Gioia Tauro. Se nessuno interviene, il 31 dicembre scade la cassa integrazione e dovrò chiudere l’azienda” di Lucio Musolino