La strategia difficile
Che fine faranno i nostri ragazzi? Quale possibilità avranno peri crearsi un futuro? Una occupazione, una casa, una famiglia, servizi sociali, una pensione. In questa strana estate che per chi scrive ha significato lavoro, lavoro e ancora lavoro (ma anche qualche bagno di mare) ho avuto chiara una visione. Dal dopoguerra a oggi ma soprattutto tra la fine degli anni ’60 e la fine degli anni ’80 in Italia abbiamo perso le migliori eccellenze di cui disponevamo. Eccellenze in molti campi e settori. E non solo economici. Sembra proprio che in questo Paese crocevia di interessi e intrighi internazionali, trincea della sottile guerra politica e sociale che si combatteva tra Est e Ovest, abbia prevalso la guerra tra bande politiche/economiche, invece che la cura e la passione per interessi comuni. Per la nazione. In quegli anni del miracolo economico italiano era anche palpabile uno spirito d’iniziativa, una strategia nazionale e una certa coesione sociale. Anche se gli scontri di classe non sono mancati. Decenni in cui nascevano e si sviluppavano grandi esperienze economiche e sociali. Ma la battaglia politica e sociale che si è sviluppata per il predominio di una parte sull’altra ha lasciato per strada il meglio di quello che in quel periodo era nato e si era sviluppato. Tra queste anche le nostre istituzioni scolastiche. La scuola è stata da sempre una grande cenerentola. Mentre altre nazioni investivano nell’istruzione e nella preparazione universitaria, nella ricerca, ma anche negli istituti tecnici o di avviamento al lavoro, noi siamo stati capaci di abbandonare anche quelle. Abbiamo maltrattato, trascurato e avvilito lo studio. E oggi ne paghiamo pesantemente le conseguenze. Nel nostro Paese è palpabile ogni giorno in mille momenti quotidiani la mancanza (e carenza) di strategia unitaria. Sembra che non ci sia alcun progetto, alcuna strategia, obiettivo. Non c’è programmazione economica così come manca quella universitaria. Non c’è una sintesi, una mente che tenga le fila, che stabilisca un percorso, le tappe e soprattutto l’obiettivo finale. Tutto è lasciato alla buona volontà – e agli interessi – delle singole istituzioni. E non stiamo invocando più statalismo, sarebbe anacronistico. Ma più impegno sì, più strategia comune sì, più progettualità collettiva sì. Ma nella scuola questo tatticismo è deleterio. Recuperare quello che non c’è mai stato, o c’è stato solo a livello sporadico e poco organizzato, è impossibile, ormai. Un cosa si può fare: mettere intorno allo stesso tavolo imprese e Università e Istituzioni con un po’ di soldi da spendere. Obiettivo: programmare, stabilire e scegliere investimenti possibili nelle scienze e nella ricerca, in modo che gli stessi si possano tradurre in nuove imprese e in nuove eccellenze nell’arco di pochi anni. Facilitare, promuovere e ottenere che imprese e scuola collaborino, creino insieme. Aiutare e sostenere economicamente le imprese nel fare formazione ( i modi non mancano). Sarebbe un bel segnale per le nuove generazioni. Sarebbe un modo per evitare che gli errori dei padri oltre a ricadere sui figli, ricadano anche sui nipoti.
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