Sulle obbligazioni subordinate vendute direttamente ai piccoli risparmiatori le banche italiane hanno di fatto ignorato i richiami delle autorità finanziarie europee di tutela del risparmio.
E’ dal 2014 che Esma (una sorta di Consob dell’Unione europea) aveva inviato agli istituti di credito una raccomandazione per fare riconoscere quanto i sottoscrittori di obbligazioni subordinate si collocano in una posizione meno favorevole rispetto ai detentori di obbligazioni ordinarie, dal momento che il rimborso è subordinato al rimborso prioritario di altri debiti.
UNA RICERCA DEL CENTRO STUDI LUIGI STURZO
Il Centro Internazionale Studi Luigi Sturzo, ha realizzato una ricerca secondo cui in Italia sono stati venduti prodotti finanziari inadeguati a soggetti ignari. A questo punto, osserva il Centro Sturzo, è urgente che si chiarisca con precisione quante obbligazioni subordinate si trovano in mano ad investitori retail, in quali casi il profilo di rischio assegnato non corrisponde alla reale situazione del singolo cliente o se sono stati prefigurati rendimenti non coerenti con le caratteristiche dei prodotti offerti. Una verifica che andrebbe condotta in un’ottica di trasparenza e di rispetto del consumatore, ma anche di stabilità del sistema, considerato che dallo scorso 1 gennaio 2016 è entrato in vigore il meccanismo del bail in.
PROSPETTI INCOMPRENSIBILI FATTI SOTTOSCRIVERE ALLA CLIENTELA
La posizione meno favorevole di chi investe in bond subordinati, secondo la ricerca del Centro Sturzo, è più difficile da valutare per la clientela media retail. Il prospetto e la documentazione prevista per questi titoli sono spesso incomprensibili: per questo dovrebbero essere considerati complessi. La raccomandazione dell’Esma si riferisce alle obbligazioni subordinate in genere; ma già un anno prima l’Esma inseriva questo tipo di titoli nello stesso elenco di prodotti complessi in cui si trovano i derivati, anch’essi di ardua valutazione, difficili da monetizzare e collocare in uno scenario di rischio e, per questo, meritevoli di estrema attenzione quando vengono collocati presso i piccoli risparmiatori.
MA LA CONSOB CONSIDERA LE OBBLIGAZIONI SUBORDINATE PRODOTTI SEMPLICI
In Italia, invece, per la Consob le obbligazioni subordinate sono classificate come “prodotti semplici”, come confermato in una serie di comunicazioni, tra cui quella del 5 giugno 2015 in cui, prendendo atto dell’avvertimento dell’Esma, ci si limita ad un appello alla buona volontà degli operatori, invitati a prestare la massima attenzione alle fasi di distribuzione delle obbligazioni subordinate nei confronti della clientela al dettaglio. Ora, sarà anche vero che complessità e rischio non sono la stessa cosa; sta di fatto, però, che la disciplina europea prevede per i prodotti semplici una valutazione di rischio basso. Tutto ciò ha come effetto che l’intermediario, spesso coincidente con chi emette il titolo, cioè la banca, nel piazzare il prodotto finanziario non ha altri obblighi che quelli dettati dalla deontologia e dalla coscienza.
CODA DI PAGLIA IN CASA CONSOB
Nonostante la classificazione come prodotti semplici, dal 2009 con una comunicazione sui prodotti illiquidi la Consob faceva inserire in una scheda prodotto di una paginetta le probabilità che questi prodotti potessero perdere valore e quanto potessero perdere, ma anche questi scenari probabilistici sono stati eliminati a partire dal 2011. Grazie anche a questo via libera della Consob le banche italiane hanno collocato grandi quantità di questo tipo di titoli, subordinati appunto (secondo recenti stime per circa 60 miliari di euro), anche presso le famiglie.
Secondo la ricerca del Centro Sturzo, molti titoli sono stati emessi da piccole banche, presso clienti che si trovano sul territorio, spesso famiglie non pienamente consapevoli del rischio e che non hanno adottato efficienti strategie di diversificazione. Molti hanno i loro depositi nella stessa banca di cui hanno acquistato le obbligazioni subordinate. Il risparmio delle famiglie ha costituito a lungo una risorsa fondamentale per un sistema bancario che aveva bisogno di ricapitalizzarsi nelle more delle crisi e in risposta ai sempre più stringenti requisiti di capitale; ora, però, il dubbio che vi sia stata scarsa trasparenza nei collocamenti rischia di avere effetti disastrosi nei confronti di chi vi ha fatto ricorso con eccessiva leggerezza.