La Brexit inizia a fare paura. Per domenica prossima è in programma una riunione dei cosiddetti “sherpa” del Consiglio dei ministri dell’Unione Europea per preparare il vertice di martedì e mercoledì. Il presidente Donald Tusk sta mettendo a punto il programma della “shuttle diplomacy” per le necessarie consultazioni delle prossime giornate. E intanto Cameron si è dimesso. Sterlina scesa ai valori del 1995.
Forse non abbiamo ancora percepito che la decisione presa ieri dal popolo della Gran Bretagna, oltre a innescare revisione dei trattati e altri possibili referendum indetti da un radicalismo conservatore che da qualche anno si sta diffondendo in Europa, potrebbe mettere a breve in seria difficoltà l’economia, europea e internazionale. Il nostro debito pubblico è in mano a molte banche e istituti di credito e fondi della City londinese, per esempio.”La decisione del popolo britannico apre straordinarie incognite nel futuro dell”Unione e dei suoi Paesi membri e può esaltare in generale i processi di disgregazione nelle istituzioni e nei popoli. L’Italia con il suo grande debito pubblico può essere particolarmente esposta ai molti fattori di instabilità”.
Così dice il presidente della Commissione lavoro del Senato Maurizio Sacconi sulla vittoria della brexit al referendum britannico. “Si avverte la precarietà di tutti i paradigmi fondamentali su cui abbiamo a lungo vissuto. È davvero l’ora della responsabilità repubblicana innanzitutto per le forze politiche di governo ma anche per quelle di opposizione in presenza di atti di apertura delle prime. Qualunque proposta farà l’Italia per la nuova Europa e per il suo concorso alla stabilità globale sarà tanto più ascoltata quanto più sarà sostenuta da una nazione coesa o da larga parte di essa. Di fronte ad un tornante della storia la piccola politica muscolare interna deve cedere il passo alla ricerca di una visione comune, al reciproco ascolto, al desiderio di tutti di essere adeguati al tempo straordinario che viviamo”.
SETTORI IN CRISI PER L’EXPORT
Abbiamo forse sottovalutato troppo la rabbia verso l’Europa da parte non solo della Gran Bretagna. “L’uscita
UK dal mercato unico rappresenta un passo indietro rispetto all’obiettivo di integrazione e nell’immediato e un costo aggiuntivo per le imprese. Anche, ma non soprattutto, italiane”. Lo dice Prometeia. “Per la prima volta da 40 anni, le imprese italiane si potranno trovare ad affrontare dazi sul mercato britannico. Anche ipotizzando tariffe contenute, secondo gli odierni profili UE verso paesi terzi, il dazio medio applicato alle imprese italiane dopo il Brexit potrebbe essere superiore al 5% del valore esportato, in linea con la perdita tedesca e francese (e inferiore a paesi la cui offerta è più sbilanciata verso settori tradizionali, generalmente esposti a dazi più alti). Immaginando che le imprese italiane mantengono invariati i prezzi in euro e si facciano carico del dazio, il Brexit potrebbe costare nel complesso più di un 1 miliardo di euro (comunque solo lo 0.25% dell’export italiano nel mondo). La forte specializzazione dell’offerta italiana nel Regno Unito nei settori della meccanica, della farmaceutica e degli altri mezzi di trasporto (un quarto dell’export manifatturiero Italiano nel paese) dovrebbe rendere la Brexit per alcuni settori della media-alta tecnologia meno stringente”. Secondo Prometei applicando le tariffe medie di comparto
ai flussi effettivi del 2015, le imprese dell’alimentare arriverebbero a perdere 450 milioni di euro (il 14%
delle proprie vendite sul mercato), la moda 200 milioni di euro (il 9% di quanto esportato). La svalutazione della sterlina potrebbe rappresentare per l’offerta italiana “un rilevante, seppur temporaneo, svantaggio competitivo, agendo sulla competitività italiana sia sul mercato britannico (rispetto ai produttori nazionali) sia in paesi terzi dove le imprese italiane e britanniche competono intensamente.
QUALI PROCEDURE CI ASPETTANO
E da ora inizia una lunga e complessa procedura che porterà Bruxelles e Londra a costruire un nuovo rapporto su basi completamente diverse. Il premier David Cameron, annunciando le sue dimissioni stamani, ha chiarito che non sarà lui ad avviare la causa di divorzio, ma che il compito spetterà al prossimo premier, presumibilmente dopo l’estate. Per oggi è prevista una riunione straordinaria delle più alte cariche dell’Unione, il presidente Donald Tusk, il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker, il presidente del Parlamento Ue Martin Schulz e il premier olandese Mark Rutte, il cui Paese ha la presidenza di turno della Ue. Tusk ha detto che farà di tutto per preservare l’unità e la stabilità dell’Europa a Ventisette, fin da prossimo vertice Ue del 28-29 giugno, a
margine del quale si terrà una riunione con l’esclusione di Cameron. Domani i ministri degli Esteri dei sei Paesi fondatori dell’unione si vedranno a Berlino mentre il presidente francese Francois Hollande lunedì vedrà la cancelliera tedesca Angela Merkel.
IL TRATTATO DI LISBONA
L’articolo 50 del trattato di Lisbona del 2009, che stabilisce le procedure per l’uscita di un Paese dall’Unione.
afferma che “qualunque stato membro può decidere di ritirarsi dall’Unione nel rispetto delle proprie norme
costituzionali” e preparare la procedura per farlo. Le norme europee dicono che servono due anni per sciogliere tutti gli obblighi contrattuali prima che un Paese possa ufficialmente uscire dall’Unione, al netto di possibili proroghe da concordare. Ma il negoziato per stabilire un nuovo rapporto tra Bruxelles e Londra indipendente potrebbe durare molto di più. Tusk ha avvertito che per ottenere il via libera di tutti i 27 Stati restanti, più il Parlamento europeo, potrebbero volerci altri cinque anni, per un totale di sette.