Brexit: quale scenario per la zona euro?
di Mathilde Lemoine (*)
Il prossimo 23 giugno gli elettori britannici andranno alle urne per pronunciarsi in merito alla seguente questione : il Regno Unito deve rimanere membro dell’Unione Europea o deve uscirne? Il risultato di questo referendum è essenziale sia per il futuro del Regno Unito sia per quello dell’UE. L’eurozona in particolare sembra avere le carte in regola per uscire vincente dalla consultazione, qualunque sia l’esito del referendum.
Infatti anche se le questioni migratorie sembrano avere cristallizato le tensioni tra Londra e Bruxelles, queste non sono che la parte emersa della posta in gioco in questa votazione.
Nei negoziati avviati con gli altri capi di Stato e il governo dell’UE, il Primo Ministro britannico David Cameron ha raggiunto i propri obbiettivi su diverse rivendicazioni legate alla competitività, la sovranità, la libera circolazione delle persone e il versamento delle prestazioni sociali ai migranti dell’UE.
LE STANZE DI COMPENSAZIONE, UN TEMA CRUCIALE
Il premier, tuttavia, non è riuscito a strappare un diritto di veto sui temi riguardanti la zona euro. Anche se questo tema era cruciale per il Regno Unito, che ha malvissuto l’approfondimento dell’integrazione e il miglioramento della governance dell’eurozona in questi ultimi anni e la sua esclusione di fatto da un certo numero di decisioni finanziarie e monetarie.
I britannici sono stati particolarmente contrariati dalla volontà unilaterale della Banca centrale europea (BCE) di imporre la localizzazione, nella zona euro, delle stanze di compensazione in euro allo scopo di avere interamente sotto controllo questo elemento cruciale del sistema finanziario europeo e della sua stabilità.
Questo dossier, lungi dall’essere solo tecnico o finanziario, è così squisitamente politico ed economico che è stato indetto un referendum.
Ritenendo che imporre questa misura non fosse di competenza della BCE, la Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE), interpellata nel 2011 dalla Gran Bretagna, ha finito per dare ragione, l’anno scorso, a Londra sulla forma. Ma non sulla sostanza, poiché la sua decisione significa che basterebbe deferire la questione al Consiglio europeo per costringere le stanze di compensazione a lasciare il Regno Unito. Questo significherebbe lasciare un mezzo di pressione considerevole in mano all’UE, che i Britannici votino contro il Brexit o no.
Considerando gli ultimi sondaggi, l’esito sarebbe molto incerto. Sulla base di recenti ricerche econometriche sull’avversione al rischio degli elettori europei, l’uscita dall’UE della Gran Bretagna è, a nostro modo di vedere, probabile al 40%. In tal caso, il Consiglio europeo potrebbe immediatamente imporre una condizione di residenza nella zona euro alle stanze di compensazione che trattano in euro. In caso di mantenimento del Regno Unito nell’UE, i membri della zona euro dovranno aspettare il 1° aprile 2107 per lo spazio di manovra necessario in virtù della maggioranza qualificata attribuita dalle nuove regole derivanti dal trattato di Lisbona.
BREXIT, UN IMPATTO RIDOTTO
Il Brexit è di per sé destinato a generare nel Regno Unito un impatto economico e finanziario difficile da valutare poiché Cameron non ha tuttora rivelato nulla della politica che attuerebbe per attutirlo. Tenendo conto del fatto che la Banca d’Inghilterra non mancherebbe di entrare in scena, questo impatto dovrebbe essere limitato a -1% sul PIL britannico su base annua e scomparire dopo tre anni.
Sta invece di fatto che un cambiamento di funzionamento dell’Eurosistema, che rilocalizzerebble nella zona euro la parte dei sistemi di compensazione basata nel Regno Unito al seguito del referendum del 23 giugno, modificherà durevolmente la struttura dell’economia brittanica.
Attualmente le transazioni oggetto di una compensazione centralizzata in euro raggiungono una media di 130.000 miliardi di euro in un anno (fonte: BRI, BCE). Una rilocalizzazione determinerebbe la creazione di attività finanziarie nella zona euro, generatrice di flussi di capitali provenienti dal Regno Unito.
In effetti, la parte delle banche estere su suolo britannico è attualmente 4 volte più importante che in Germania e 5 volte di più che in Francia, mentre il settore finanziario domestico pesa soltanto due volte di più in percentuale del Pil. Facendo l’ipotesi che l’80% delle banche europee e il 50% delle banche non britanniche e non europee si trasferiscano nella zona euro per svilupparvi le loro attività, il flusso potenziale di capitali in entrata nella zona euro sarebbe di 680 miliardi di sterline (860 miliardi di euro), ossia l’equivalente del 34% del PIL britannico e di almeno 8% di quello della zona euro.
CADUTA DELLA STERLINA
Con questo scenario, l’euro potrebbe apprezzarsi del 34% nei confronti della sterlina. Il suo tasso di cambi effettivo reale, ossia contro un paniere di valute, aumenterebbe invece del 10-12%. Ma l’effetto negativo sulle esportazioni europee potrebbe essere limitato dalla BCE tramite nuove manovre non convenzionali, quali la riduzione del tasso di depositi. Secondo i nostri calcoli, il PIL della zona euro progredirebbe del 1.3% dopo due anni.
Se il Regno Unito rimane nell’UE, la zona euro potrà imporre una rilocalizzazione degli organismi di compensazione da aprile 2017. Ma prima di questo il destino europeo del Regno Unito rimarrà incerto, influendo negativamente sugli investimenti e la valutazione della sterlina, il cui apprezzamento nei confronti dell’euro potrebbe essere limitato a 4% e il tasso di cambio effettivo potrebbe rimanere di 8% inferiore al suo livello di lungo periodo.
(*) L’autrice è Group Chief Economist Groupe Edmond de Rothschild