Brexit: intervento di Ed Booth, Global Banks Analyst, team azionario, M&G Investments sulla pressione che si sta facendo sulle banche inglesi.
Le banche sono state duramente colpite in seguito alla decisione della Gran Bretagna di lasciare l’Unione Europea: lunedì mattina i titoli di Royal Bank of Scotland e Barclays sono stati temporaneamente sospesi. Ieri, il mercato si è mostrato più stabile con i titoli finanziari tra i principali beneficiari, enfatizzando il fatto che la volatilità è una costante. Ma se facciamo un passo indietro rispetto a questo ‘rumore’ di breve periodo, quali sono le considerazioni che possiamo iniziare a trarre sull’effetto che la Brexit avrà sul settore bancario britannico?
A febbraio avevamo già trattato il problema relativo alle entrate che anno dopo anno ha portato a revisioni al ribasso dei profitti delle banche inglesi ed europee. La Brexit peggiora la questione: in Gran Bretagna, la moderata crescita dei prestiti non si è rivelata sufficiente a soddisfare le stime degli analisti ed è probabile che ora questa crescita andrà a svanire, con un rallentamento degli investimenti da parte delle imprese, insieme ad un irrigidimento dei criteri di sottoscrizione, ad esempio nella concessione dei mutui. Le potenziali modifiche ai costi di finanziamento e sui tassi di interesse potrebbero aggravare ulteriormente tale pressione. Storicamente, i costi si sono mantenuti stabili, per cui l’impatto di una leva operativa di entrate più basse è significativo per gli utili per azione, ancora prima di ulteriori questioni sulle implicazioni della Brexit.
In Europa, il problema dei ricavi per le banche è simile, con i tassi di interesse che sono molto più importanti data la scarsa crescita dei prestiti: meno dell’1% lo scorso anno. C’è un tale divario tra i tassi di interesse attuali e la media dei tassi sui libri contabili delle banche che l’unico modo per evitare che il trend negativo delle entrate bancarie in diminuzione non impatti sull’anno finanziario 2017 o 2018, sarebbe una grande sorpresa in termini di ripresa economica. Oggi, una sorpresa di questo tipo è una possibilità decisamente remota. In questi primi giorni, la questione si sta rapidamente concentrando sull’eventualità o meno di una recessione della Gran Bretagna generata dal rallentamento degli investimenti da parte delle imprese e sull’entità di tale recessione. Non solo in termini di prospettive per i tassi di interesse e per la questione delle entrate, bensì in termini di crediti svalutati. Le banche inglesi portano con sé un’alta leva operativa anche per un contesto di lieve recessione, soprattutto se ciò portasse ad un reale aumento della disoccupazione. I mercati non sanno come potrebbe essere una recessione causata dalla diminuzione degli investimenti da parte delle imprese; le circostanze sono insolite e pertanto le previsioni sulla disoccupazione sono piuttosto incerte.
Abbiamo guardato alla leva operativa delle entrate e dei crediti svalutati delle banche inglesi, per analizzare la situazione e non si tratta di un quadro positivo per nessuna di loro. Un calo del 3% della crescita dei prestiti ed un aumento del 50% degli impairment dai livelli attuali bassi, ridurrebbe del 20% i profitti pre-tasse del settore bancario in UK. La Banca d’Inghilterra evidenzierebbe che lo suo stress test fatto nel 2015 mostra che il capitale delle banche britanniche è in grado di resistere ad un clima molto più difficile di quanto si possa verificare. Infatti, sia il capitale che la liquidità sono molto più solidi rispetto al 2008 e chiaramente più resistenti da un punto di vista sistemico. Ma i risultati di questi stress test – e gli scenari delineati dal Tesoro britannico nell’eventualità della Brexit – renderanno probabilmente ancora difficile per gli investitori azionari guardare ‘al di là della valle’ e interessarsi a questo settore, almeno finché non avranno un’idea ragionevole di quanto è veramente profonda la valle, in realtà. E siamo lontani dal saperlo oggi.