Cariplo Factory, hub di innovazione creato da Fondazione Cariplo nel 2016, ha pubblicato Pow(H)er Generation – How to make a difference. Si tratta di un report che analizza il tema della leadership femminile all’interno delle start-up italiane. Sono 110 infatti le start-up fondate o guidate da donne che hanno risposto all’appello di Cariplo Factory. Hanno raccontato anche la loro storia, la visione strategica e come le donne a capo di queste start-up stanno da un lato guidando le loro aziende. E soprattutto hanno contribuito alla diffusione di una maggiore cultura più votata alla parità di genere e valorizzazione del talento femminile all’interno dell’ecosistema dell’innovazione.
Nel nostro Paese lavora soltanto 1 donna su 2
La Banca d’Italia ha stimato che se l’occupazione femminile salisse al 60%, avremmo un aumento del Pil pari al 7% (una cifra vicina ai 130 miliardi di euro). Pow(H)er Generation – How to make a difference è stato realizzato grazie al supporto di Aifi. L’analisi restituisce una fotografia della rappresentanza e dell’influenza femminile nel mondo dell’innovazione. Un campione composto da start-up con un livello di maturità tecnologica molto elevata e appartenenti a diversi settori. Circular economy (18%), education e edtech (6%), food & beverage (2%), delivery & logistics (2%), entertainment (4%), healthcare (20%), digital platform (26%), fintech (2%).
Riccardo Porro chief operating officer di Cariplo Factory
“Durante questi mesi abbiamo toccato con mano quanto sia ancora lunga la corsa per raggiungere il traguardo della parità di genere nel mondo dell’innovazione. E soprattutto all’interno del mercato del lavoro nel nostro Paese. Una leadership più inclusiva e partecipativa può essere un volano di accelerazione per il cambiamento e crescita delle imprese italiane. In questa corsa serve il contributo di tutti”.
Dall’analisi emerge che il 16% delle start-up nasce da un business familiare, dove alle responsabilità per le decisioni aziendali si affianca la pressione per il coinvolgimento affettivo.
Elena Fagnani ceo di Aircnc
“Mi occupavo prima di supply chain. Ho lavorato per una multinazionale americana e poi negli USA per un’azienda italiana. Sono dovuta tornare in Italia durante la crisi 2008. Iincinta e con un altro bambino piccolo, il mio CV aveva subito perso di appeal e così sono tornata nell’azienda di famiglia. Una PMI metalmeccanica nella quale, invece della noia che mi aspettavo, ho trovato grande passione e me ne sono innamorata! Mi mancava però un pezzetto… quello dell’innovazione. Ma sono riuscita a introdurla e a innovare il mio business”.
Il 74% delle start-up analizzate è stata fondata da due o più socie con una collocazione principalmente nel Nord Italia (64%) e ancora limitata al Sud e nelle isole (10%). Le start-up che fanno parte del campione oggi lavorano sia all’interno del mercato nazionale (60%), che oltre confine (32%) e solo per l’8% sul mercato locale. Il 77% del campione vuole consolidare o ampliare il proprio business in Europa, il 13% in Nord America e il 6% in Asia.
Difficoltà di reperire fondi per crescere e risorse qualificate
Dall’analisi emerge inoltre che il 18% delle società ha partecipato ad un programma di incubazione, il 36% di accelerazione e 28% ad entrambi, traendone grandi benefici. “Partecipare a programmi di incubazione e accelerazione è stato molto utile. Sia in termini di network e finanze sia per la mentalità acquisita. Mi mancavano molte competenze e conoscenze, grazie a queste attività ne ho colmate molte, sia io che il mio Team”. Ha sottolineato Danila De Stefano, ceo & founder di Unobravo, start-up che si occupa di Telehealth, Digital Health e Psicologia online. E anche se il 66% del campione ha già ricevuto un investimento, l’86% di queste start-up è sempre alla ricerca di un investitore. Il 40% dichiara di avere difficoltà a raccogliere investimenti.
Mara Vendramin ceo e founder di My-Money
“I fondi governativi sono difficilissimi da ottenere. Quelli privati richiedono di avere già un prototipo o addirittura revenues per poter essere valutati… Quindi in 3 anni di attività mi sono autofinanziata investendo ogni singolo centesimo dei miei risparmi. Ma sono felice d’averlo fatto, perché avere un business è come un figlio, i sacrifici fanno parte del gioco, e diventa la tua priorità assoluta”. Le imprenditrici intervistate hanno evidenziato anche difficoltà nella costruzione di un team qualificato (12%). Altre faticano a trovare competenze manageriali (12%) o figure tecniche (18%) e problematiche legate al work-life balance (10%).
Ottavia Belli founder e Ad di Sfusitalia
“Abbiamo notato che molte delle realtà come la nostra sono guidate da donne che credono nel ritorno sociale e ambientale della propria attività. Fare rete, cooperare e sostenerci tra donne è per noi importantissimo e alla base della nostra attività quotidiana. Oltre a essere uno dei nostri principali obiettivi come azienda: creare un network di settore dentro al quale le donne abbiano un ruolo di leadership”.
Elena Pasquali founder di EcoSteer
“Il networking è fondamentale! Non saremmo arrivati dove siamo ora senza l’aiuto delle tante persone che hanno creduto in noi e nella nostra tecnologia. Ed il contributo di altre donne è stato essenziale: a partire da Silvia Tessari. L’advisor ci ha aiutato ad ottenere contributi finanziari per progetti innovativi alla Provincia Autonoma di Bolzano. E poi ancora la Business development director Giada Zanatta – conosciuta in H-FARM! E le avvocate di Iusintech, che hanno validato la Data Ownership Platform dal punto di vista legale.”
Il report è scaricabile al link:
https://www.cariplofactory.it/powher-generation/