La Commissione europea invita gli Stati membri a sostenere la riforma degli strumenti di difesa commerciale dell’Ue. Nonostante l’utilizzo di tutti i mezzi a disposizione dell’Esecutivo per difendere l’industria e il commercio comunitari la normativa oggi in vigore si dimostra – così scrive Bruxelles – del tutto “insufficiente ad affrontare l’enorme sovracapacità” produttiva di alcuni settori economici, che si traduce per l’Ue in “esportazioni oggetto di dumping”.
L’UNIONE SENZA DIFESE COMMERCIALI
Scrive Bruxelles: l’Ue vuole restare “il più grande blocco commerciale al mondo”; tuttavia “il commercio deve essere basato su condizioni eque”. L’Unione, si legge, è responsabile del 15% delle importazioni mondiali (seconda solo agli Stati Uniti), ma le sue misure di difesa commerciale rappresentano appena il 7,8% del totale in vigore in tutto il mondo e colpiscono appena lo 0,21% delle importazioni. Quando, poi, si tratta di difendere i posti di lavoro in Ue, “attualmente non esiste alcuna misura di controllo, a causa delle limitazioni imposte dalla normativa vigente. E’ indispensabile modernizzare gli strumenti di difesa commerciale” può essere raggiunta attraverso la rapida adozione della proposta presentata dalla Commissione nel 2013. L’Esecutivo Ue ha sottolineato la necessità di applicare una nuova metodologia antidumping “per affrontare situazioni in cui le condizioni di mercato non prevalgono” e, al contempo, per aiutare i Paesi europei ad “confrontarsi con le imminenti modifiche nel quadro giuridico dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC)”.
Secondo il vicepresidente della Commissione Jyrki Katainen la politica commerciale è una delle maggiori risorse dell’Ue per produrre posti di lavoro, crescita e investimenti. “Attualmente 30 milioni di posti di lavoro in Ue sono direttamente collegati all’export: “volume che è aumentato di due terzi nel corso degli ultimi 15 anni”. L’Unione, ha proseguito il commissario responsabile per l’occupazione, ha ottenuto “impressionanti risultati” dai recenti accordi commerciali. L’intesa con la Corea, per esempio, ha portato in cinque anni un aumento del 55% delle esportazioni Ue nel Paese asiatico, raggiungendo il valore di 15 miliardi di euro. Ciò ha prodotto più di duecentomila nuovi posti di lavoro in Ue, a dimostrazione che “la nostra prosperità e il nostro benessere dipendono dal commercio”.
L’attuale legislazione europea, spiega la Commissione, limita i livelli dei dazi antidumping, ostacolando gli sforzi dell’Esecutivo Ue per sostenere le industrie nelle sfide che stanno affrontando – come ad esempio il settore siderurgico – a causa degli aumenti di volume delle importazioni di prodotti oggetto di dumping. Uno dei limiti più seri all’applicazione degli strumenti di difesa commerciale dell’Ue è, secondo Bruxelles, la cosiddetta regola del dazio minimo o dazio inferiore.
In base alla normativa Ue i dazi sono applicati se, nel corso di una procedura antidumping, sono accertate 4 condizioni: l’esistenza della pratica di dumping, ovvero la pratica di esportare un prodotto nel mercato Ue ad un prezzo di vendita inferiore rispetto al prezzo dello stesso prodotto in vigore nel mercato interno del Paese d’origine,
l’esistenza di un importante pregiudizio a carico dei produttori Ue derivante dal dumping, l’esistenza di un nesso causale tra il pregiudizio e il dumping, vale a dire il riconoscimento oggettivo che il danno all’industria europea è causato dalle importazioni in dumping, l’interesse della comunità; ovvero la certezza che i benefici derivanti dalla introduzione del dazio siano superiori ai costi che ne deriverebbero (ad esempio a carico dei consumatori).
Il dazio è applicato a tutte le imprese esportatrici del Paese da cui proviene la merce oggetto di dumping. Il livello del dazio (espresso in percentuale) sarà, in linea generale, pari alla differenza tra il prezzo in vigore nel Paese d’origine della merce e il prezzo di vendita nel mercato europeo. Ed è a questo punto che entra in campo la cosiddetta regola del dazio minimo, in base alla quale “qualora un dazio inferiore sia in grado di eliminare ogni pregiudizio per l’industria europea, il valore del dazio sarà pari al livello in cui il danno dell’industria è eliminato”.
Sui prodotti paragonabili oggetto di dumping provenienti dalla Cina, come determinati laminati a freddo in acciaio, se il dazio antidumping medio dell’Ue è al 21,1%, “negli Stati Uniti, dove la regola del dazio minimo non è applicata, la media del dazio antidumping è al 265,8%”. Gli strumenti esistenti non sono quindi più idonei allo scopo. La proposta del 2013 fornisce, si legge, “strumenti di difesa commerciale più trasparenti, procedure più rapide, controlli più efficaci e propone modifiche all’applicazione della regola del dazio minore in alcune circostanze ben definite”. Nonostante siano stati proposti possibili compromessi su questa regola, “finora il Consiglio non è stato in grado di trovare un accordo”.
Per quanto riguarda l’esigenza di una nuova metodologia antidumping, secondo la Commissione è indispensabile che questa tenga conto dei cambiamenti in atto nel quadro giuridico internazionale, vista l’imminente scadenza di determinate disposizioni relative ai calcolo del dumping nei protocolli di adesione all’OMC di diversi paesi, Cina in primis. La Commissione ha intenzione di presentare entro fine anno una proposta per un nuovo metodo di calcolo del dumping sulle “importazioni da Paesi in cui vi sono distorsioni del mercato o in cui lo Stato ha un’influenza pervasiva sull’economia”. La proposta, si legge nella nota di Bruxelles, “non concederà lo status di economia di mercato a qualsiasi Paese”, ma garantirà che gli strumenti di difesa commerciale comunitari vengano adattati per affrontare le nuove sfide e realtà giuridico-economiche, pur mantenendo un equivalente livello di protezione.