E’ uscita la nuova edizione della Salary Guide, una indagine condotta da Hays, società leader a livello globale nel recruitment specializzato in middle e top management, che ha tastato il polso del recruitment in Italia, intervistando 1.600 professionisti e più di 260 responsabili del processo di selezione. Il mercato del lavoro in Italia è ancora in difficoltà tuttavia iniziano a registrarsi timidi segnali di ripresa: il 52,3% delle aziende non ha diminuito il volume di investimenti dedicati alle risorse umane, mentre il 28,2% ha incrementato nel corso dell’ultimo anno il budget dedicato alla selezione. E parlando di assunzioni, 4 aziende su 10 (46,4%) hanno pianificato un ampliamento d’organico entro la fine dell’anno, focalizzando la ricerca su profili tecnici e figure di middle management. Dati incoraggianti che sembrano però contrastare con la percezione che i professionisti italiani hanno del mercato del lavoro: il 73,7% degli intervistati ritiene pessima (se non drammatica) l’attuale situazione lavorativa; solo 2 professionisti su 10 (26,3%) intravedono delle possibilità di crescita professionale per i prossimi mesi.
Tra i principali problemi che affliggono il mercato del lavoro, sia aziende (82%) sia professionisti (79,2%) concordano nel riconoscere al primo posto l’eccessiva tassazione del lavoro. Le aziende individuano poi tra le principali problematiche italiane la rigidità della legislazione del lavoro (72,5%), l’eccessiva burocrazia (50%) e lo scarso dinamismo del mercato (45%). I problemi evidenziati dai professionisti sono, invece, più legati al tessuto socio-economico: il clima di sfiducia generale (49,5%), i bassi livelli di credito e liquidità (40,8%), la recessione (34,6%), la scarsa flessibilità della legislazione sul lavoro (33,4%), l’alto livello del debito pubblico (32,3%) e, infine, le scarse agevolazioni per le aziende che assumono (28,5%). Nonostante il 70% dei professionisti consideri ancora il passaparola come lo strumento più efficace per cercare una nuova occupazione, è interessante notare come i social network stiano acquisendo un peso sempre più decisivo delle dinamiche di selezione. Il 30,7% dei professionisti dichiara di far affidamento sui social per valutare nuove possibilità d’impiego, mentre il 49% cerca di costruirsi una web reputation a prova di selezione attraverso i propri profili online.
Al primo posto tra i social più utilizzati con finalità professionali si piazza LinkedIn (100%), seguito da Facebook (33%), Twitter (13,4%) e, infine, Google+ (12%). E le aziende? Si appoggiano ai social in fase di selezione? Si, ma con riserva. Il 54,7% preferisce evitarlo, considerando lo screening dei profili social un’invasione nella privacy del candidato. Tra le aziende che si dichiarano favorevoli, il 92,2% lo fa per avere una visione più completa del professionista, mentre il 22,3% per individuare possibili incongruenze nelle esperienze lavorative dichiarate. Anche tra le aziende, il più consultato tra i social è sicuramente LinkedIn (94,3%) seguito da Facebook (46,7%). Il 19,6% dichiara, inoltre, di controllare se il candidato gestisce un blog personale. Va però sottolineato come le informazioni ricavate dallo screening non giochino un ruolo discriminante al fine della selezione: l’80,8% delle aziende ha affermato, infatti, di non aver mai escluso un candidato dopo averne visionato i profili social. Secondo il 96,6% degli intervistati, gli ultimi ritrovati tecnologici hanno profondamente modificato la vita e le dinamiche dell’ufficio, tanto che il 70,5% dei professionisti dichiara di controllare con regolarità la mail aziendale anche nei giorni non lavorativi. 6 intervistati su 10 (63,4%) considerano l’apporto delle nuove tecnologie positivo, perché permette loro di incastrare meglio le scadenze lavorative con gli impegni della vita privata; al contrario, il 36,6% valuta negativamente lo sviluppo tecnologico, colpevole di aver reso meno definiti i confini tra la sfera lavorativa e quella personale. In tempi di incertezza economica, sono le ‘soft skill’ del candidato a fare la differenza.
Tra le più apprezzate dalle aziende italiane emergono forte motivazione (76,4%), capacità di adattarsi (63%) e versatilità (58,8%). Tra le ‘hard skill’, invece, il 76,4% delle aziende pone sempre più attenzione alle competenze linguistiche del candidato: oltre all’inglese, oggi è essenziale conoscere almeno una terza lingua. Tra le più gettonate, il tedesco (27,6%), il francese (19,2%) e lo spagnolo (18,8%). Stanno acquisendo sempre più importanza anche le lingue dei paesi con le economie più forti come il cinese (7,3%), il russo (5,6%) e l’arabo (3,9%). E proprio per sbaragliare la concorrenza, i professionisti italiani stanno investendo sulle competenze linguistiche: per risultare più appetibili sul mercato del lavoro, infatti, il 55% dei professionisti ha deciso di dedicarsi all’apprendimento di una terza lingua.
Nonostante la turbolenza di questi ultimi anni, il 72,4% delle aziende intervistate ha dichiarato di non aver né congelato, né diminuito gli stipendi base elargiti; 4 professionisti su 10 (38,2%) hanno addirittura visto aumentare la propria retribuzione salariale. Grande importanza nelle dinamiche della selezione viene ricoperta dai benefit, economici e non, ritenuti dall’87% delle aziende un importantissimo strumento per assicurarsi a bordo i lavoratori più validi. Il 94% dei professionisti, infatti, afferma di valutare con cura la presenza di benefit in eventuali offerte lavorative; tra i più apprezzati spiccano il telefono cellulare (92,3%), l’auto aziendale (87,5%) e l’assicurazione sanitaria (77,45%). Molti professionisti (59,9%) fanno inoltre affidamento su una percentuale variabile del proprio stipendio, che può essere subordinata al raggiungimento di risultati aziendali (69,9%), di obiettivi individuali (67,90%), o alla valutazione della performance lavorative (33,8%). Malgrado l’incertezza del mercato, 1 professionista su 2 (56,3%) si dichiara disponibile a cambiare lavoro. Tra i principali motivi, la ricerca di una maggiore soddisfazione professionale (71%), una prospettiva di crescita interessante (65,7%) e una retribuzione più sostanziosa (53,7%).
L’essere coinvolto in un progetto più stimolante e l’insoddisfazione per il proprio capo incidono, rispettivamente, per il 36,8% e il 21,4%. Infine, è interessante notare come l’82% sia disponibile a trasferirsi all’estero, pur di inseguire allettanti opportunità professionali. La meta più gettonata resta l’Europa (61,4%) seguita da Nord America (20,8%) e Oceania (7,21%). Se invece si profilasse un progetto importante in un’altra città del Belpaese, l’82,9% dei professionisti sarebbe pronto a far le valigie e trasferirsi in un’altra regione italiana.
Tra i professionisti inoccupati al momento dell’indagine (13,8%), il licenziamento risulta essere la principale motivazione di inattività (33,3%), seguita da fallimenti aziendali (24,8%) e da dimissioni (24,2%). Tra gli intervistati senza lavoro, il 31,7% è a casa da meno di 3 mesi, mentre è in cerca di un nuovo lavoro da più di un anno circa il 22,9%. Interessanti anche i dati emersi sul rapporto tra donne e carriera in Italia: nel 60,5% delle aziende italiane intervistate le donne ricoprono ruoli dirigenziali e, il 54% del campione, afferma che le donne manager hanno ormai conquistato le stesse possibilità dei colleghi maschi. Infine, per favorire l’ingresso nel mondo del lavoro dei più giovani (under 30), le aziende auspicano sgravi fiscali (77,2%), semplificazioni contrattuali (65%) e maggiore flessibilità (57,7%). La ricerca è consultabile http://we.tl/lUZribPCIk