“In questo momento di particolare incertezza politica in Italia è importante intraprendere azioni di supporto per le best companies italiane, aziende con vere politiche industriali e di export”, ha detto Giovanni Giorgetti, (nella foto) ceo di Edg89 group, durante la presentazione a Londra di The 10280 Italian Best Companies 2013-2014– “se si vorrà porre le basi sia per il rafforzamento dei distretti industriali costituiti prevalentemente da piccole e medie imprese, sia per la crescita futura del Paese”. “Investire sul ‘Made in Italy’ di qualità, intelligente e sostenibile dovrà essere la priorità di qualsiasi azione politica di rilancio dell’economia italiana, unitamente ad un ritrovato interesse per l’innovazione, l’istruzione, l’integrazione sociale e le politiche energetiche e ambientali”, prosegue Giorgetti. “L’Italia è il secondo paese manifatturiero d’Europa dietro la Germania, ha un’economia reale, forte e competitiva e queste eccellenze rappresenteranno il miglior investimento per il futuro. Amiamo definirle l’orgoglio Italiano”.
Ma chi sono le Italian Best Companies? Sono quelle società che hanno evidenziato un’elevata redditività, una buona patrimonializzazione, un basso indebitamento bancario e una tenuta e/o crescita del volume del valore della produzione (senza analizzare i comparti bancario, finanziario ed immobiliare). La ‘spina dorsale’ dell’economia del Bel Paese. Sono stati esaminati i bilanci di oltre 300.000 società con fatturato superiore a 3milioni di euro.
La più alta percentuale di best companies risiede nella fascia di fatturato 10-50 milioni, la cosiddetta media-impresa. Campioni di innovazione, di fantasia, di caparbietà che hanno saputo resistere al perdurare della crisi prima finanziaria, iniziata nel 2008, e poi divenuta congiunturale nel Vecchio continente. Il Trentino Alto Adige è la regione più performante per numero di best companies rispetto al totale delle società analizzate, seguita dalla Lombardia e Piemonte. A seguire il Veneto, l’Emilia Romagna e la Valle d’Aosta. Fanalini di coda Calabria e Sardegna. La Lombardia, per numero di società, è in testa con 3.594 aziende, seguita dal Veneto e dall’Emilia Romagna con 1.267 aziende.
Le migliori performances sono del settore farmaceutico, elettronica, distribuzione (energia, gas, acqua, elettricità), chimica e alimentare. Frena l’edilizia-costruzioni, il commercio, il turismo-alberghiero e la logistica-trasporti. Continua a tenere la ‘moda italiana’ di alta gamma con il comparto del tessile-abbigliamento e del cuoio-pelle. Per numero di società la meccanica continua ad essere il settore più numeroso, annoverando fra le best companies italiane 2.422 società, seguito dal commercio-beni di consumo dettaglio con 493 società e dall’edilizia con 407. La brusca frenata degli ultimi tre anni sia del mercato immobiliare che dei consumi interni ha influito sul Pil nazionale. I due settori normalmente considerati colonne portanti per l’economia italiana (edilizia e commercio), dovranno avere la massima attenzione nei prossimi mesi da parte delle politiche economiche se si vorrà ridare slancio allo sviluppo del bel paese. Cosa diversa è accaduto per il manifatturiero italiano, con la meccanica, la moda, la chimica, la gomma-plastica, l’elettronica e l’alimentare che hanno saputo mantenere le quote di mercato dei paesi maturi e contestualmente aggredire i mercati esteri emergenti e di ‘nuova generazione’ e conquistare così nuovi sbocchi commerciali. Le imposte pagate da questo nucleo di società raggiunge oltre 32mld, con una incidenza percentuale del 56,02% sul reddito prodotto. Una quota non più tollerabile che va a sommarsi al gap con i concorrenti europei e mondiali su energia e infrastrutture.