Il Festival delle Felicità interna lorda, Fil Fest, che si è svolto la scorsa settimana a Catania organizzato da Hub, Sicanex e Zo è stato un momento di aggregazione e riflessione partecipata sulle modalità con cui è possibile cogliere le opportunità di felicità a cui di fatto la crisi ci spinge. L’esperienza e le idee di Adriano Olivetti sono ancora più che attuali, utili a cercare “una terza via” allo sviluppo, che ruoti intorno al concetto di comunità. Un modello che oggi fa ancora molta paura all’establishment, come lo faceva negli anni Cinquanta del Novecento, ma un modello di concretezza e di convivenza a cui attingere e su cui vale la pena scommettere in un mondo comunque molto cambiato rispetto ad allora. Una riflessione su un nuovo modello di economia “sostenibile e felice”, attenta allo sviluppo dell’uomo e della società prendendo spunto dalla “visione” che Adriano Olivetti elaborò nella prima meta del Novecento e che fece di lui un grande innovatore, forse troppo avanti per quei tempi.
A discuterne al Centro Culture Contemporanee Zo, Beniamino De’ Liguori Carino, componente del comitato scientifico della Fondazione Adriano Olivetti e nipote dell’industriale piemontese scomparso nel 1960. De’ Liguori dal 2012 ha ripreso in mano la casa editrice Edizioni di Comunità fondata proprio da Olivetti, ripubblicando i testi dell’industriale di Ivrea con l’intento di divulgarne il pensiero e la visione del futuro. “I tempi oggi sono certamente più maturi e le idee di Adriano oggi possono forse trovare un terreno più fertile, anche e dobbiamo assolutamente evitare il rischio di farne un eroe o un mito”, ha detto De’Liguori.
A discuterne con lui, oltre a Felicita Platania (Zo), Rosario Sapienza (Hub) e Andrea Seminara (Sicanex), Giampietro Pizzo, economista e vice presidente EMN (European Microfinance Network), Marco Peroni presidente dell’associazione Pubblco-08 e uno degli autori della EMN (European Microfinance Network), Marco Peroni presidente dell’associazione Pubblco-08 e uno degli autori della Graphic Novel “Adriano Olivetti, un secolo troppo presto”, l’assessore alla Bellezza e ai Saperi condivisi del Comune di Catania, Orazio Licandro.
Fabbrica (come luogo del cambiamento), comunità (intendendo la comunità formata dai cittadini, personaggi pubblici carichi di una responsabilità civile, sociale, storica e familiare), e cultura sono state le tre parole chiave emerse nel corso di questa prima edizione del Fil Fest.
“Circa 3 anni fa con la Fondazione abbiamo deciso di riprendere in mano il marchio Edizioni di Comunità dalla Mondadori, a cui era finito in seguito al famigerato Lodo”, ha spiegato Beniamino De’ Liguori. “Abbiamo però un’idea nuova, perché presentiamo Adriano Olivetti come un autore autenticamente contemporaneo. Fabbrica, comunità e modello sistemico rappresentano una sequenzialità giusta per raccontare Olivetti. Adriano tra l’altro era convinto che bisognava portare il lavoro al Sud e non i lavoratori del Sud dove c’era il lavoro e questa idea viene fuori dal discorso che lui stesso fece all’inaugurazione della innovativa fabbrica che aprì a Pozzuoli e che abbiamo voluto pubblicare. Ritornando alla possibilità di attualizzare la visione di Olivetti, la sua idea era quella che il territorio e la fabbrica dovessero essere in continuo scambio, la fabbrica faceva parte della comunità, con una serie di servizi come i muti a tasso zero per ristrutturare le cascine di montagna dei territori da cui provenivano e ogni sera tornavano i suoi operai”.
Per Giampietro Pizzo “la società e la crisi che Olivetti descriveva nel 1942 non sono affatto lontane da quanto accade oggi e la sua risposta alla crisi era l’urgenza di ricostruire il tessuto sociale, la democrazia, partendo dai territori dalle comunità, fondata sul lavoro e sulla cultura. Il tema della politica rimane centrale, e di fronte a due grandi blocchi (allora capitalismo e socialismo, oggi centrodestra e centrosinistra) la ricerca di una terza via fatica molto ad attecchire; così come è attuale il tema della solidarietà, non intesa in senso caritatevole, ma come dimensione di welfare che riscopre il mutualismo delle comunità: andrebbero studiati i casi e i modelli applicati a Ivrea in quegli anni”.
“L’idea di tracciare una terza via è tuttora seducente”, dice Marco Peroni, “ed è seducente l’idea di contaminare arte, cultura e impresa perché i prodotti Olivetti nascevano coinvolgendo tutte queste componenti, creando ponti tra mondi che apparivano inconciliabili, ponti che oggi ci servirebbero moltissimo”.
Per Orazio Licandro “Olivetti era un gigante del Novecento, non era soltanto un imprenditore ma innanzitutto un intellettuale raffinato capace di leggere e interpretare la società a fondo, era un suscitatore di cultura. La lezione dell’industriale piemontese è di una straordinaria e dolorosa attualità perché rileggendo i suoi scritti sembra davvero che il tempo si sia fermato. Oggi è la nostra è una società più complicata rispetto a quella in cui si muoveva Olivetti, ma soprattutto al Sud dovremmo recuperare un modello culturale ed economico, come quello che ci proponeva l’industriale di Ivrea, che ci permette di tornare ad essere cittadini prima che consumatori, mettendo al primo posto l’interesse generale prima di qualunque ideologia o approccio politico tra quelli che sino ad oggi abbiamo conosciuto. Mi pare necessario però evidenziare la necessità di rimettere al centro la cultura, l’uomo, la sua elevazione, la sua possibilità di riscatto, come propone Olivetti”.
Al Fil Fest ci si è interrogati anche se Finanza e Democrazie siano un binomio possibile, un interrogativo nato dalla crisi del 2008 provocata dalla cosiddetta finanza main stream e da cui fatichiamo a uscire dopo 6 anni. “Oggi occorre ripensare la finanza partendo dalle pratiche di prossimità, dalla microfinanza che è già attiva a livello europeo, con esperienze come le monete locali, attività peer to peer, forme di banche del tempo come sostituzione dei flussi monetari. Sono punti di partenza interessanti, ma è evidente che la finanza come strumento al servizio della persona deve cambiare valorizzando il lavoro, la ricchezza viva delle persone. Esiste una tradizione che è quella credito mutualistico e cooperativo, ad esempio, che purtroppo negli anni dell’opulenza sciocca e devastante sono stati accantonati”, spiega Giampietro Pizzo.
A dialogare con gli studenti sulla possibilità di creare impresa culturale, in modo smart e innovativo, il professore Michele Trimarchi (Università Magna Grecia di Catanzaro) e Anna Mignosa di Officine Culturali. Di seguito anche lo stesso Giampietro Pizzo, approfondendo i temi della micro finanza per sostenere progetti locali. Nel pomeriggio il workshop su orti e giardini partecipati nel mediterraneo (con Cristina Salmeri dell’Orto botanico di Catania e Francesca Forno dell’Università di Bergamo. In serata la proiezione del documentario La Città dell’Uomo di Andrea De Sica, nipote di Vittorio. Il documentario – prodotto da Rai 150-La Storia siamo noi in collaborazione con la Fondazione Adriano Olivetti – ultimo “omaggio” alla visione dell’imprenditore piemontese troppo innovativo per il suo tempo, ma un possibile modello per la società post industriale di oggi.