«Per le Pmi la mancanza di liquidità è paragonabile ad avere un’automobile con serbatoio vuoto: sarà un’auto che non parte o che si fermerà presto.
Come farà il sistema con Pmi senza benzina e con tanta burocrazia?
Il know how del made in Italy verrà disperso?
A settembre, quando inizierà un autunno caldo in tema di relazioni industriali, dove finiranno le competenze dei lavoratori delle industrie?».
Paolo Galassi, presidente di A.P.I., commenta i dati del sondaggio dell’associazione delle piccole e medie industrie “Liquidità, le Pmi lanciano un SOS (?)”.
Liquidità, per il 65% delle imprese situazione negativa
Alla domanda “Sul fronte liquidità, come descriverebbe la situazione della sua azienda pre Covid-19?” il 74% degli imprenditori ha risposto positivamente, post Covid la situazione si è quasi ribaltata
Il 65% delle imprese viene ritenuta negativa
Oltre il 39% delle aziende registra problemi di liquidità a causa degli insoluti, il 31,7% per la necessità di pagare i dipendenti, il 24,4% per i pagamenti dei fornitori.
La reazione delle Pmi per fronteggiare la situazione non si è fatta attendere.
Il 64,5% ha già contattato gli istituti di credito richiedendo finanziamenti per 25 mila euro (50%), fino a 100 mila euro (10%), da 100 a 200 mila euro (5%), da 200 a 300 mila euro (15%), da 500 a 750 mila euro (5%), da 750 mila a 1 milione (10,0%); superiore al milione (5%).
“Manca la benzina per far ripartire il motore delle Pmi”
Gli imprenditori (60%) ha optato per un finanziamento di 72 mesi, il 20% per 48 mesi, di 36 mesi il 15,0%, mentre inferiore a 24 mesi per il restante 5,0%.
Dalle richieste è emerso che, per gli imprenditori, il rapporto con le banche è ancora una nota dolente il 64% giudica negativamente le informazioni e il supporto fornito dall’istituto di credito.
Il 74% non ha riscontrato corrispondenza tra le informazioni in suo possesso sul Decreto Liquidità e le informazioni ricevute dall’Istituto contattato.
«Gli imprenditori chiedono di abbattere il costo dei contributi da lavoro dipendente, il famigerato “cuneo fiscale”
Inoltre di dare accesso a crediti e finanziamenti semplificando burocrazia, di erogare contributi a fondo perduto e non finanziamenti per far indebitare ulteriormente le aziende già provate dalla situazione.
L’emergenza va gestita con misure straordinarie e con facilità di accesso agli strumenti.
I fondi ci sono, l’Europa è finalmente scesa in campo, ora gli imprenditori si aspettano che i soldi arrivino e non restino intrappolati a causa di cavilli e burocrazia.
La tempestività è oggi un fattore imprescindibile per salvare le imprese.
Tra le associate ci sono, infatti, aziende che registrano una perdita del fatturato del 70% e anche l’ultimo dei tanti decreti non ha fatto abbastanza.
Alle Pmi non servono briciole o assistenzialismo per tamponare l’emergenza ma una politica industriale che dia visione di lungo periodo, oltre a risposte chiare e immediate.
Basta appunto vedere i ritardi nell’erogare la cassa integrazione, oltre alla mancanza di chiarezza e di norme univoche.
Questa crisi ha fatto venire al pettine i nodi di un’economia già in crisi
lo Stato continua, infatti, a mettere le “pezze” senza credere nella necessità di tutelare il patrimonio imprenditoriale italiano e soprattutto senza investire nel fare impresa, fonte di lavoro e ricchezza per il Paese».