Il manifatturiero cresce quando va all’estero

Il settore manifatturiero e la sua relazione con l’internazionalizzazione è stato oggetto di una ricerca condotta dalla Divisione Ricerche Claudio Demattè della SDA Bocconi, insieme ad EY. L’indagine puntava a evidenziare le strategie delle imprese di maggior successo internazionale.

L’internazionalizzazione sembra proprio sia la chiave di volta, la risposta e il motore di crescita che le imprese italiane di grande dimensione, con fatturato maggiore di cinquanta milioni di euro, hanno adottato per superare in maniera positiva la crisi economica che ha colpito in questi anni. L’indagine che ha portato a questa conclusione è stata condotta su un campione di 115 società internazionalizzate di grandi dimensioni e da 112 società non internazionalizzate di grandi dimensioni. Per entrambi i campioni sono stati analizzati i principali dati economici e finanziari per il periodo che va dal 2005 al 2014. Il grado di internazionalizzazione delle imprese è stato determinato in base al possesso di controllate estere e alla percentuale di fatturato estero.

La percentuale maggiore di imprese internazionalizzate, prevalentemente operanti nel settore della manifattura, sono localizzate nel nord Italia (84% del campione) e risultano essere nella maggioranza dei casi a proprietà familiare (65%). In media i ricavi di queste imprese risultano essere prodotti per il 65,5% all’estero. Le imprese di grande dimensione (sia internazionalizzate che focalizzate unicamente sul mercato domestico) hanno assistito a una crescita costante dei propri asset nell’orizzonte temporale di analisi che comprende anche il periodo di crisi economica, mostrando un certo grado di resilienza alle turbolenti fasi di mercato cui abbiamo assistito negli ultimi anni. La dimensione quindi sembra “proteggere” entrambe le tipologie di imprese dalle alterne fasi di mercato, permettendo di reagire prontamente e continuare il proprio percorso di sviluppo. Se il Return on Equity (ROE) e il Return on Assets (ROA) medi delle imprese internazionalizzate sono stati negativamente colpiti dalla crisi economica, dall’indagine emerge tuttavia che la capacità delle imprese internazionalizzate di reagire e riprendersi, tornando a creare valore in modo consistente. Il ROE e il ROA sono passati rispettivamente dal 5,5% all’8,2% e dal 5,02% al 6,97% fra 2009 e 2014.

GRANDI IMPRESE CRESCONO CON L’INTERNAZIONALIZZAZIONE

La dimensione, ancora una volta, gioca un ruolo determinante, riuscendo a “proteggere” anche la redditività delle imprese non internazionalizzate, sebbene queste presentino valori assoluti decisamente inferiori (ROE da 5,4% a 7,03% e ROA da 4,24% a 3,44% nel medesimo periodo). Le società internazionalizzate hanno reagito alla crisi finanziaria ottimizzando la struttura del capitale, riducendo i livelli di debito in favore di un maggior ricorso al capitale proprio, migliorando la propria solvibilità. Il rapporto D/E è passato da 1,38 a 0,96 fra 2009 e 2014 L’Europa Occidentale e l’Asia continuano a essere la principale destinazione degli investimenti delle imprese con migliori risultati (38% e 19% degli investimenti). Le grandi imprese di maggior successo sono risultate maggiormente presenti, rispetto a quelle con perfomance peggiori, in America Latina (11% vs 6% degli investimenti) e nei paesi africani (8% vs 1% degli investimenti). L’Europa dell’Est è la zona in cui sono state maggiormente presenti le imprese con risultati peggiori (13% degli investimenti).

“Le società internazionalizzate hanno reagito alla crisi finanziaria ottimizzando la struttura del capitale, riducendo i livelli di debito in favore di un maggior ricorso al capitale proprio, migliorando così la propria solvibilità”, ha detto Maurizio Dallocchio, SDA Bocconi professor e curatore durante la presentazione della ricerca. “La scelta dei mercati in cui operare è dipesa fino ad ora dalla dimensione dell’azienda; per le Pmi  è stato consigliabile un approccio “Safe Play”, mentre le grandi imprese è stato possibile indirizzarsi verso mercati più complessi, essendo in grado di gestirne costi e rischi”, ha aggiunto Andrea Paliani, partner EY e Mediterranean Advisory Leader. “Tale paradigma sarà sempre di più messo in discussione in virtù dell’affermarsi dei canali digitali, che riducono rischi e investimenti. Nelle economie emergenti, il business eCommerce ha raggiunto dimensioni notevoli e, dove mancano infrastrutture distributive moderne, è diventato il canale principale per raggiungere i consumatori. Le aziende che vogliono avere successo sui mercati globali devono eccellere nella scelta dei marketplace sui quali proporsi, nella comunicazione digitale verso il consumatore e nell’efficienza ed efficacia della catena logistica”.

Le imprese internazionalizzate di maggiore successo vedono amplificate le dinamiche reddituali e patrimoniali emerse per il campione in generale. Queste imprese hanno visto il proprio ROE alzarsi, in media, dal 13% del 2009 al 15,3% del 2014 e hanno ridotto il proprio D/E da 1,12 a 0,58 nel medesimo periodo, migliorando il proprio grado di solvibilità rispetto alla totalità del campione. Il processo di crescita internazionale offre quindi sostenibilità e redditività, se favorito da un’equilibrata struttura finanziaria e da un’adeguata composizione fra export e investimenti diretti. L’obiettivo di contenimento dei costi non sembra più la strategia vincente in un contesto in cui i mercati sviluppati, più tipici per le aziende di minore dimensione, riconoscono il valore aggiunto del «made in Italy». Per le imprese di dimensione maggiore la aree caratterizzate da maggiore complessità producono rendimenti positivi. La dimensione è in tal senso fondamentale per riuscire a operare con profitto in questi mercati, riuscendo a mettere al riparo le imprese dalle pressioni e dai rischi del mercato in cui l’impresa decide di accedere.

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