Si è svolto questa mattina a Torino il workshop nazionale di Synergia Consulting Group – alleanza professionale di 14 studi di commercialisti italiani con 200 professionisti qualificati e un fatturato 2012 di 30 mln di euro, presieduta da Massimo Boidi – sul tema “La crisi di impresa. Le nuove procedure pre-fallimentari: uso o abuso?”che ha visto tra i relatori Luciano Panzani, presidente del Tribunale di Torino e Laura Zaccaria, responsabile direzione norme e tributi dell’ABI, oltre a diversi commercialisti e avvocati. Durante il convegno, Guido Romano, responsabile ufficio studi di Cerved Group ha presentato una ricerca originale con una serie di dati aggiornati sul tema del concordato preventivo.
Le nuove procedure fallimentari, il concordato preventivo e il concordato “con riserva” o “in bianco”
Nel convegno è stato fatto il punto sulle prassi dei tribunali, sui ruoli e sugli obiettivi delle nuove procedure pre-fallimentari finalizzate principalmente al mantenimento della continuità aziendale, su ispirazione del Chapter 11 statunitense: piani di risanamento, accordi di ristrutturazione, concordati in continuità e, in particolare, concordato preventivo, procedura concorsuale attraverso la quale un imprenditore in difficoltà – al fine di evitare la dichiarazione di fallimento – ricerca un accordo con i suoi creditori.
L’attenzione dei relatori si è focalizzata sul cosiddetto pre-concordato o concordato «con riserva» o «in bianco» (introdotto nel settembre 2012 col Decreto Sviluppo (Dl 83/2012) e sempre più utilizzato dalle imprese a causa della perdurante crisi economica), che consente al debitore di presentare un ricorso in Tribunale per l’ammissione alla procedura di concordato, «riservandosi» – appunto – di produrre successivamente, nel termine fissato dal giudice, la proposta e il piano concordatario.
In pratica, attraverso una semplice proposta, il debitore può rinviare – fino a sei mesi – la presentazione del piano di rilancio, mentre ottiene – fin da subito – la sospensione immediata delle esecuzioni dei creditori. E tutto questo senza che sia prevista alcuna percentuale (prima era, invece, il 40%) di creditori «chirografari» – cioè, in concreto, la maggior parte delle aziende che vantano crediti da altre aziende – da soddisfare in ogni caso.
Boom delle domande di concordato “in bianco”: salvataggio dell’azienda o strategie dilatoria?
I dati Cerved – leader in Italia nell’analisi delle imprese e nello sviluppo dei modelli di valutazione del rischio di credito – www.cerved.com – presentati al workshop evidenziano come le aziende italiane abbiano fatto un uso molto ampio del nuovo istituto del concordato “con riserva” per far fronte alle difficoltà congiunturali: da settembre 2012 a settembre 2013 sono stati quasi 5 mila domande di concordato in bianco, un dato significativo se si considera che – in tutto il 2012 – sono state presentate solo 1.100 domande di concordato con piano di risanamento.
La ricerca ha, inoltre, messo in luce come un’azienda su quattro che ha presentato una domanda di concordato in bianco è stata coinvolta – nei dodici mesi precedenti l’istanza – in un’operazione di cessione, di compravendita o di affitto di rami d’azienda. Questo fenomeno può prestarsi a una duplice lettura: un tentativo estremo di salvare l’azienda oppure, al contrario, un atto che consente di creare delle bad company prima di presentare un’istanza di concordato in bianco che blocca le azioni esecutive?
Dopo l’istanza di concordato in bianco sono più le imprese che presentano un piano di risanamento non revocato di quelle che falliscono
Dai dati Cerved emerge, inoltre, che – su 2.800 istanze presentate fino al 31 marzo del 2013 – in più di mille casi (il 36% del totale) le aziende hanno presentato un piano di risanamento, che – al momento dell’analisi – non risulta essere stato revocato: hanno, cioè, intrapreso fino in fondo la strada del concordato, evitando il fallimento. In un caso su quattro (682 imprese), invece, dopo la domanda “in bianco” è stato aperto un fallimento, mentre più di 600 aziende (21%) risultano ancora “attive” dopo il concordato.
Si tratta di casi in cui – nonostante la scadenza dei termini – il tribunale non si è ancora pronunciato o in cui, dopo la mancata presentazione del piano di risanamento (o la sua inammissibilità), non è stata richiesta l’apertura del fallimento. Sono, infine, oltre 400 le società che risultano in liquidazione (il 15% del totale), 66 quelle inattive o cessate (2,3%) e solo 29 (l’1%) le aziende che – dopo aver fatto istanza di concordato in bianco – hanno avviato un accordo di ristrutturazione dei debiti.
Siccome molte imprese al momento non aderenti ad alcuna procedura o in liquidazione volontaria andranno probabilmente verso il default, è possibile concludere che con il concordato “in bianco” soltanto un’impresa su tre raggiunge gli obiettivi stabiliti di arrivare al concordato.
«Il nostro workshop annuale», ha sottolineato Massimo Boldi, presidente di Synergia Consulting group –http://www.synergiaconsulting.it/ , «ha analizzato in ottica critica gli strumenti pre-fallimentari, cercando di individuarne i punti di debolezza e offrire – anche al Legislatore – concreti spunti di miglioramento. Come emerge dai dati Cerved, infatti, il numero dei concordati “in bianco” ha riscosso indubbiamente un grande successo presso gli imprenditori in difficoltà, ma persiste il dubbio che molti di essi possano essere tentati di approfittare delle nuove norme per sanare il passato a danno dei propri creditori. Per questo, dunque, sarebbe opportuno un miglioramento del dettato normativo finalizzato ad evitare i possibili “abusi” che sfruttano le aperture del Legislatore a danno delle aziende creditrici». Clicca sull’estratto della ricerca https://www.btboresette.com/wp-content/uploads/2013/11/Grafici-SYNERGIA-Cerved.pdf