Previdenza: raddoppiano le sfide per gli operatori, oltre a centrare l’obiettivo fondante – erogare pensioni e prestazioni di welfare adeguate – le forme pensionistiche complementari sono chiamate sempre più a contribuire allo sviluppo del Paese.
Si è svolto il convegno di Itinerari Previdenziali “Patrimoni previdenziali: gli investimenti delle risorse tra vincoli di risultato e sviluppo del Paese”, presso la sede della Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense.
In questa complicata fase economica, caratterizzata da bassi rendimenti ed elevata volatilità sui mercati finanziari, e da una fiscalità interna che assimila i risparmi previdenziali alle rendite finanziarie, le performance degli operatori della previdenza hanno superato i rendimenti obiettivo. Nonostante le tasse, che nel 2015 hanno sottratto al patrimonio dei fondi pensione 1.107 milioni di euro (lo 0,85%), nell’ultimo anno i rendimenti delle forme pensionistiche complementari si sono attestati tra il 2,7% e il 3,7%, a fronte di un’inflazione pari a 0 e una rivalutazione del Tfr ferma all’1,2%.
Analogo il dato riferito agli ultimi 5 anni: se gli operatori della previdenza complementare hanno centrato rendimenti cumulati compresi tra il 25,6% e il 27,5%, l’inflazione si è fermata all’11% e il Tfr ha osservato una rivalutazione pari a 17 punti percentuali. Ma è giunto il momento per gli enti della previdenza complementare di fornire un contributo allo sviluppo del Paese, che tuttora arranca. La crescita è stagnante: nonostante la “ripresina” del 2015, l’ultimo triennio ha fatto registrare una contrazione media del Pil pari allo 0,27% annuo, a fronte di un dato europeo in crescita (+2,9%). Anche la produttività del lavoro continua a rallentare: negli ultimi 9 anni si sono persi complessivamente 0,2 punti. A risultarne penalizzata è la competitività del sistema Paese: secondo il Global Competitiveness Index, elaborato dal WEF, l’Italia occupa il 44° posto nel mondo, al pari di Kazakhstan, Lituania e Indonesia.
CHE FARE?
La ricetta suggerita nel corso del convegno prescrive di stimolare processi di crescita che si autoalimentino. Mettendo a frutto nell’economia reale le masse finanziarie gestite dagli enti previdenziali, che possono sostenere le imprese italiane e stimolare virtuosi processi di sviluppo, crescita dell’occupazione e della produttività e sostenere a loro volta i mercati. Più nel concreto, occorre predisporre una normativa più snella di quella contenuta nel decreto MEF sul credito d’imposta, che non fornisce adeguate garanzie agli investitori e non offre sostegno alle attività dei soggetti obbligati alla contribuzione e neppure a settori strategici per il nostro Paese, come la filiera agro-alimentare e la white economy. Questa la posizione assunta sia dagli operatori intervenuti sia delle parti sociali: Oliva Masini, direttore generale di Previndai, che vanta oltre il 5% delle risorse investite nell’economia italiana, ha sottolineato quali siano le difficoltà di applicazione delle norme contenute nel Decreto sul credito d’imposta. Dello stesso avviso Stefano Poeta, presidente Epap, che si chiede quale sia, a conti fatti, l’applicabilità del credito d’imposta e perché non siano stati inseriti nel decreto un settore come l’agroalimentare e gli investimenti volti a combattere il dissesto idrogeologico del Paese.
“La legislazione”, ha detto Annamaria Trovò,presidente del Fondo Cometa, “non ha favorito la previdenza complementare, ma si è rivelata profondamente avversa. Fare “massa” tra fondi, percorrendo insieme il percorso auspicato dal titolo del convegno, è la strategia da seguire”. Dello stesso avviso Giulio de Caprariis, dirigente Area Lavoro e Welfare di Confindustria, il quale oltre a caldeggiare un percorso condiviso da parte dei fondi, ritiene che “l’incentivazione fiscale da sola non può sortire effetti determinanti, se non accompagnata da policy efficaci”.
Dal canto loro le aziende, che dovrebbero alimentare la ripresa, sono private del Tfr e soltanto una piccola parte del patrimonio degli operatori previdenziali è investita nel Paese: circa l’1,5% in azioni e il 30% in titoli di Stato; quasi zero verso le nostre aziende. Un’altra misura auspicabile, sulla quale si è soffermato anche il rappresentante di Confindustria intervenuto, sarebbe la reintroduzione del Fondo di garanzia per le Pmi che consentono il versamento del Tfr ai fondi pensione; ma soprattutto, occorre una chiara consapevolezza, da parte del Governo e della politica, circa l’importanza del welfare complementare, sempre più in un’ottica di competitività del sistema Paese, e non soltanto circoscritta all’ambito del welfare. Del resto, “la previdenza complementare, che nasce dal lavoro, può anche creare lavoro”: questa la chiosa di Salvatore Casabona, vice presidente di Cooperlavoro, che ha chiuso la prima parte del convegno.