A sostegno di quanto le micro, piccole e medie imprese italiane credono e utilizzano i servizi garantiti dal sistema camerale (dal registro delle imprese alla consulenza sulle pratiche export ai consorzi fidi che agevolano l’accesso al credito) c’è la loro contrarietà alla riduzione del 50% dei diritti annuali devolute alle Camere, voluto dal Governo. I diritti pagati in base alla dimensione con una media di 120 euro l’anno ma con punte anche di 40/50 mila euro per le imprese più grandi, serve anche a coprire le spese per il sostegno del settore capace di erogare decine e decine di servizi ormai necessari per qualunque tipologia di impresa. Sul piede di guerra le associazioni di categoria delle imprese minori come Confcommercio, Confartigianato, Cna, Confersercenti, Casartigiani contrarie al balzello che alleggerirebbe di oltre 400 milioni le casse delle stesse imprese. Una cifra che al tempo stesso costituisce il 75% delle entrate del sistema e garantisce servizi a cui le imprese non vogliono rinunciare. Secondo uno studio della Cgia di Mestre mentre con la riduzione della presenza camerale sul territorio di rischiano 2.500 posti di lavoro, l’incidenza del sistema camerale sulle spese dello Stato inciderebbe solo dello 0,4%, per un settore che vive di autofinanziamento per oltre l’80%. Senza dimenticare che oltre il 50% di queste risorse vengono investite dalla Camere in servizi e sostegni a beneficio delle Pmi l’88% delle quali ritiene efficienti i servizi ottenuti.