Di Neil Dwane, Global Strategist di AllianzGI.
Non manca molto al fatidico 23 giugno, quando gli elettori del Regno Unito si pronunceranno sulla permanenza nell’Unione Europea. Dopo aver dato spazio alle argomentazioni economiche, l’attenzione potrebbe spostarsi sull’effettiva affluenza alle urne e sugli aspetti emotivi. Quanto al nostro resoconto della partita, il primo tempo vede in vantaggio gli europeisti, commenta Neil Dwane, Global Strategist di Allianz Global Investors
FINE PRIMO TEMPO: BREMAIN 1 (ECONOMIA) – BREXIT 0
Il governo inglese e autorevoli esponenti dell’economia globale hanno da tempo messo in guardia l’elettorato britannico sugli ingenti costi legati alla Brexit, come l’incertezza sugli accordi commerciali attuali e futuri, l’impatto sulle politiche in atto nell’UE e persino la possibilità di condizioni svantaggiose dopo le inevitabili rinegoziazioni. La campagna per l’uscita dall’Unione Europea (UE) analizzando le sole componenti economiche sembra quindi perdente, almeno per ora.
SCHEMI DI GIOCO PER IL SECONDO TEMPO
Sconfitti sul terreno dell’economia, i fautori della Brexit stanno spostando l’attenzione su temi caldi come: immigrazione, responsabilità politica e burocrazia. L’immigrazione può essere una potente arma anti-UE, tanto più che alcuni influenti media britannici puntano sul legame fra libera circolazione delle persone nell’Unione e situazione di crisi dei rifugiati mediorientali. Gli euroscettici hanno “puntato il dito” sul fallimento delle politiche pubbliche, che non sono riuscite ad arginare né l’immigrazione né i timori sul numero di rifugiati che entrano in Gran Bretagna.
AFFLUENZA ATTESA
Nel 1975 il 64% dell’elettorato ha votato per l’entrata della Gran Bretagna nel mercato comune europeo. Sarebbe ottimistico aspettarsi un tasso di partecipazione più elevato questa volta, anche se allora la posta in gioco agli occhi dei “sudditi britannici” era meno rilevante. Il referendum del 23 giugno sarà molto sensibile sia al numero assoluto che ai gruppi di età dei votanti. Il fatto che gli elettori più anziani siano più propensi a votare e, molto probabilmente, a votare per l’uscita dall’UE potrebbe rivelarsi un fattore decisivo. Per dare un’idea dell’importanza dell’affluenza, con un tasso di partecipazione del 64% alla consultazione il referendum dovrebbe concludersi con il 53% di voti a favore della permanenza nell’UE, mentre un tasso di partecipazione di appena il 60% potrebbe ribaltare l’esito della consultazione, con un 51% di voti per la Brexit.
POLITICA
Indipendentemente dall’esito finale del referendum, è ormai chiaro che il Partito Conservatore al governo ne uscirà profondamente spaccato. Anche se il Regno Unito dovesse rimanere nell’UE, il governo potrebbe attraversare un periodo di incertezza e vulnerabilità. Se invece i sudditi britannici sceglieranno la Brexit, il Paese sarà soggetto a una forte instabilità politica. Uno dei principali problemi interni sarà il rinnovato dibattito sull’indipendenza scozzese (se i sondaggi hanno ragione nel prevedere che l’elettorato locale voterà per restare nell’UE). Date le divisioni interne al Partito Conservatore britannico, la Brexit potrebbe richiedere: un nuovo Premier, un nuovo Cancelliere, e forse anche delle nuove elezioni. Allo stesso tempo, però, il Regno Unito avrà bisogno di un gruppo di politici esperti in grado di negoziare l’uscita dall’Unione. Tale passaggio potrebbe rivelarsi un processo lungo ed estremamente complesso, una situazione in grado di alimentare forti tensioni e incertezze nella macchina economico-politica del Regno Unito.
MERCATI FINANZIARI E INVESTIMENTI
È opinione comune che gli “asset” del Regno Unito risentirebbero inevitabilmente di una vittoria della Brexit e che il 24 giugno (il giorno successivo alla consultazione referendaria) la volatilità e gli scambi sui mercati potrebbero essere simili a quelli osservati nel 1992 quando la sterlina uscì dal meccanismo di cambio (ERM: European Exchange Rate Mechanism). Se vincesse la Brexit, assisteremmo a uno storno generale dei mercati azionari e obbligazionari e della valuta del Regno Unito. Paradossalmente, forse, gli asset britannici “in saldo” una settimana dopo un voto pro-Brexit potrebbero rappresentare un’interessante opportunità di lungo termine! Le società e gli “asset” del Regno Unito hanno riportato modeste performance sin da inizio anno e sembrano scontare sempre di più un rischio Brexit. Differente la posizione delle grandi imprese esportatrici, che a tempo debito beneficerebbero dei fattori legati ad una valuta più debole, e la sottoperformance del FTSE100 contro il FTSE Mid 250 potrebbe subire una decisa correzione. La vittoria degli europeisti, al contrario, potrebbe far risalire le valutazioni delle società attive sul settore domestico. Come possibile forma di copertura dai rischi si potrebbe anticipare l’aumento della volatilità degli asset in euro (anche se non ai livelli registrati attualmente dalla sterlina). Se una sterlina più debole può alimentare i timori di inflazione nel Regno Unito, una significativa flessione dei titoli azionari avrebbe ripercussioni negative sul debito corporate. Le due asset class sono strettamente correlate anche se il programma di quantitative easing della BCE (Banca Centrale Europea) sta alimentando l’ampliamento degli spread.