Tra i luoghi fondamentali da visitare a Washington c’è lo Smithsonian Air and Space Museum. Ebbene, al suo interno uno spazio di grandi dimensioni è dedicato al settore Unmanned e vi compaiono, oltre che ad alcuni UAV appartenuti alle forze armate, anche droni civili come quelli della ex startup Flirtey.
Il motivo? E’ trascorso un anno da quando l’australiana Flirtey fece la prima consegna di medicinali mediante un drone, lavorando sodo con Nasa e Faa per ottenete i permessi di volo necessari “una tantum” negli Usa. Da allora l’azienda ha portato a termine altre missioni coinvolgendo anche imbarcazioni al largo delle coste americane e sorvolando territori anche di grande estensione. Flirtey non si è fermata qui: il suo ceo Matthew Sweeny ha dichiarato che entro un anno da oggi le consegne mediante Sapr saranno una consuetudine negli Usa. E che per questo sta lavorando con FAA per superare i limiti imposti dalla Part 107, che non consente il volo oltre visuale del pilota “Bvlos”. Non frequento tutti i giorni musei aeronautici in Italia, tuttavia non ne ricordo uno nel quale siano esposti UAV che abbiamo contribuito al progresso del settore. Forse noi siamo troppo occupati a far sopravvivere le nostre aziende, che dipingiamo vessate da fisco ed Enac, oppure i curatori delle esposizioni, sovente esimi professori su con l’età, non hanno compreso che cosa stia accadendo nel mondo dell’aviazione, e ignorano che tra quindici anni i sistemi che oggi tengono diritto un dronetto consentiranno a molti aeromobili di essere “optionally manned” riducendo di molto gli incidenti per fattore umano, i più numerosi. C’è purtroppo una terza ipotesi: agli occhi dei più, nessuna delle nostre aziende ha finora contribuito significativamente al progresso del settore dei velivoli senza pilota. Sappiamo non essere vero, purtroppo però, temo soltanto tra noi.