Trent’anni di comunicazione sociale: più narcisi che altruisti

La comunicazione sociale in Italia negli ultimi 30 anni? Bellina ma non troppo.

La ricerca ““Spot e Post del Terzo Settore. Modelli e prospettive della comunicazione sociale”, promossa da Mediafriends, Onlus di Mediaset, Mondadori e Medusa, e realizzata dall’Università IULM sotto la direzione del Professor Guido Di Fraia, i cui risultati sono stati presentati oggi all’Auditorium IULM in un convegno aperto al pubblico alla presenza del Rettore Mario Negri, mette in evidenza come dagli anni ’90 alle campagne sociali di inizio Millennio, si è passati dai valori altruistici a un modello comunicativo che punta a soddisfare bisogni narcisistici immediati.

La ricerca ha analizzato 800 spot veicolati dal 1992 al 2017 attraverso il circuito Mediafriends individuando, per 3 diverse fasi della storia socio-culturale del Paese, alcuni “linguaggi” prevalenti nella comunicazione sociale in tv. Ma uno studio della comunicazione sociale oggi, non può prescindere dall’analisi anche degli ambienti digitali e social delle organizzazioni del Terzo Settore. Sono state quindi analizzate anche le pagine Facebook e i canali Youtube di 800 organizzazioni, divise nelle due categorie medio-piccole e grandi, che hanno confermato i principali trend già emersi dall’analisi degli spot tv degli ultimi 10 anni, pur mostrando alcune differenze tra comunicazione televisiva e digital (soprattutto nelle aziende medio-piccole). La paura delle conseguenze tragiche di una scelta sbagliata è alla base della comunicazione sociale degli anni Novanta nella quale l’attenzione è rivolta all’individuo quale possibile vittima di dipendenze (fumo, alcol, droga) e si esprime attraverso un linguaggio prescrittivo e di denuncia che spesso confina con il cosiddetto feararousing appeal inteso a scuotere il destinatario.

Il volgere del Millennio vede invece prevalere l’altruismo, l’interesse per l’Altro da sé e motivazioni etero-riferite che si declinano nella rappresentazione di azioni di intervento ad esempio a favore dell’ambiente e del territorio, oppure che spingono ad adozioni a distanza o che pongono l’accento su macro-tematiche, come la prevenzione. Il linguaggio prevalente diviene quello responsabilizzante, dal tono commovente/sentimentale.

È la crisi economica globale a dare concettualmente il via al periodo che va dal 2007 ad oggi in cui si assiste a un ritorno all’individualismo che si esprime in narrazioni in cui la partecipazione sociale e solidale è mediatizzata in direzione di un altruismo fine a se stesso – il classico SMS – che fa leva su un linguaggio rassicurante/gratificante. Tale azione assolve infatti il soggetto da impegni più gravosi e di lunga durata, per cui l’incontro tra emozione e azione genera un immediato beneficio narcisistico. L’emozione diventa il detonatore della donazione che si attiva sulla base di due diverse leve: la possibilità di “partecipare” attivamente e l’estemporaneità dell’azione, che non richiede un vero impegno ma si esaurisce in azioni immediate e semi-impulsive quali appunto l’invio di un SMS.

Una comunicazione, quella odierna, che segue le logiche del neoliberalismo, della tecnologizzazione, della cultura del branding che dal mondo delle aziende si allarga a contagiare la comunicazione sociale. E come per la marca commerciale è fondamentale essere credibile e rilevante agli occhi del consumatore, così anche le marche del “mondo del sociale” si trovano a confrontarsi con la medesima richiesta: ecco allora che gli spot sociali degli ultimi 10 anni utilizzano uno storytelling che esula dai valori e dai “grandi temi”, focalizzandosi sui soggetti protagonisti (e sulle loro storie in cui immedesimarsi) e prediligono un linguaggio realistico in cui compaiono elementi che certificano l’impegno reale e concreto degli enti rispetto alle promesse fatte ai propri destinatari-clienti (ad esempio la costruzione di una scuola con i fondi raccolti).

Questi trend si riscontrano anche nell’analisi degli ambienti digitali di 800 organizzazioni medio-piccole e grandi del Terzo Settore.

Sul piano valoriale, i post Facebook e i video Youtube delle associazioni monitorate risultano fortemente egocentrati, soprattutto per quanto riguarda gli enti di più grandi dimensioni. Tuttavia, mentre gli spot tv vertono soprattutto sui destinatari, i post Facebook abbracciano ancora tematiche valoriali e contenuti più astratti, meno focalizzati sulle micro-storie e sui soggetti. Sono quindi più simili alla comunicazione sociale degli spot Anni ’90, anche se con toni emozionali meno ansiogeni rispetto ad allora.

Per quanto riguarda la necessità di dare conto delle attività svolte e dell’impegno prodigato, anche questo trend risulta confermato dall’analisi degli ambienti digitali. Il bisogno di rassicurazione e di fiducia da parte delle persone – nell’epoca della cosiddetta post-verità – si traduce anche (e soprattutto) sui social in una comunicazione costituita in prevalenza da resoconti sull’operato e dal passaggio dal volto noto del testimonial a quello meno noto (ma più veritiero) del ricercatore, dell’esperto, del volontario.

In particolare, nei video pubblicati su Youtube (aperto dal 21% degli enti medio-piccoli e dal 63% di quelli grandi) questa enfasi sulle attività svolte diventa anche un indicatore delle scarse competenze possedute, soprattutto da parte delle organizzazioni più piccole, rispetto a un uso strategico e corretto del canale. La maggior parte dei video postati (non spot) non si basano su un piano comunicativo ad hoc, ma sono spesso costituiti da filmati di natura istituzionale (es. lunghe interviste ai responsabili o agli esperti, riprese di eventi, ecc.). YouTube finisce, in questo modo, per essere utilizzato più come “social media repository”, che non come canale di relazione ed engagement con l’utente. Se gli spot hanno l’obiettivo di comunicare in 30 secondi, con una call to action esplicita (“dona con un SMS”), i video postati sui social hanno lunghezze medie di diversi minuti che inevitabilmente si traducono in tassi di visualizzazione e di engagement decisamente bassi (la mediana dei commenti ottenuti dai video analizzati è risultata di 0,2).

A dimostrazione del valore assunto dal branding anche nel Terzo Settore e della potenza comunicazionale dei media classici, le pagine Facebook degli enti più grandi (o di quelli che hanno goduto di spazi di visibilità sulle reti Mediaset) risultano mediamente molto ricche in termini di numero di fan (“Mi piace”). A fronte di tali ampi bacini di utenti, i tassi di engagement (in termini di like, commenti, condivisioni) risultano invece poco elevati; si evince, ancora una volta, l’utilizzo di un canale social certamente ottimizzabile.

Infine, come già riscontrato nell’analisi degli spot degli ultimi 10 anni, le pagine Facebook delle organizzazioni analizzate risultano fortemente orientate a stimolare il pubblico a sostenere economicamente l’operato dell’ente, senza sforzo eccessivo e senza un particolare coinvolgimento. Un trend che si concretizza nell’utilizzo del bottone “Fai una donazione”, presente sulle pagine Facebook, il cui uso tenderà certamente ad accentuarsi nel prossimo futuro anche per effetto della revisione, attualmente in corso, delle possibilità offerte agli enti del Terzo Settore da parte delle compagnie telefoniche. Tale fenomeno rafforzerà probabilmente la tendenza a incoraggiare comportamenti sollecitati da stimoli emozionali immediati e da motivazioni ego-centrate, che è risultata dominante nella comunicazione sociale negli ultimi anni.

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