Secondo un sondaggio fra le 130mila associate a Unimpresa il 63% delle Pmi ricorre al credito bancario per pagare l’Imu. I più colpiti sono gli operatori turistici (alberghi), piccole industrie (capannoni), grande distribuzione (supermercati). Per saldare l’imposta sugli immobili sono stati chiesti finanziamenti per 4 miliardi. “E’ la prova che un sistema fiscale eccessivo è controproducente non solo per le imprese ma anche per i saldi del gettito tributario”, dice il presidente di Unimpresa, Longobardi. “Triplo effetto negativo su conti e prospettive di crescita delle aziende. E’ uno degli ultimi risvolti della crisi finanziaria internazionale e della recessione economica, a cui si è aggiunto, nel nostro Paese, un pesante inasprimento della pressione fiscale. Ragion per cui il 63% delle micro, piccole e medie imprese italiane è stato costretto a ricorrere a un finanziamento per onorare le scadenze fiscali. E c’è l’Imu (imposta municipale unica) in cima alla lista dei balzelli che hanno spinto gli imprenditori a rivolgersi agli istituti di credito”. Quanto ai settori produttivi, sono gli operatori turistici (per gli alberghi), le piccole industrie (per i capannoni) e la grande distribuzione (per i supermercati) quelli maggiormente esposti con le banche a causa dei versamenti fiscali sugli immobili e, più in generale, per tutti gli adempimenti con l’Erario. Questi i dati più di un sondaggio del Centro studi Unimpresa, condotto fra le 130.000 imprese associate sulla base dei dati raccolti al 31 dicembre 2012.
Oltre 81.900 Pmi associate a Unimpresa hanno chiesto soldi alle banche, lo scorso anno, per rispettare le scadenze tributarie. Le rilevazioni sono state effettuate a partire dall’inizio del 2013, attraverso le 60 sedi di Unimpresa sparse su tutto il territorio nazionale. Oltre all’Imu, è l’Irap l’altra tassa che mette in difficoltà gli imprenditori italiani, tenuto conto che l’imposta regionale sulle attività produttive si paga anche quando i bilanci sono in perdite dunque in assenza di utili. Quanto all’Imu, incrociando i risultati del sondaggio del Centro studi Unimpresa con i dati del dipartimento delle Finanze del ministero dell’Economia, secondo cui l’Imu 2012 relativa alle imprese è stata pari a 6,3 miliardi di euro, si può sostenere che per effettuare i versamenti sono stati contratti nuovi prestiti per quasi 4 miliardi di euro (3,96 mld). Tre, in particolare, i comparti dell’economia del Paese letteralmente “strozzati” dal tributo immobiliare. Secondo il sondaggio Unimpresa, gli ostacoli maggiori sono stati riscontrati per le categorie che basano più di altre la loro attività imprenditoriale proprio sugli immobili. E dunque si tratta degli operatori turistici (con i proprietari di alberghi in cima alla classifica), delle piccole industrie e delle fabbriche (per i capannoni) e del comparto della grande distribuzione organizzata (per i cosiddetti supermercati).
Triplo effetto negativo sulle aziende. «Tutto ciò genera un triplo effetto negativo sui conti e sulle prospettive di crescita delle aziende», spiega il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi. “Il primo “, spiega Longobardi , “è l’apertura di linee di credito destinate a coprire le imposizioni fiscali invece di nuovi investimenti, il che limita la natura stessa dell’attività di impresa. Il secondo problema sorge, poi, alla chiusura degli esercizi commerciali, quando il valore degli immobili posti a garanzia dei “prestiti fiscali” va decurtato in proporzione al valore dell’ipoteca, con una consequenziale riduzione degli attivi di bilancio. Il terzo “guaio” è relativo a eventuali, altri finanziamenti per i quali l’impresa deve affrontare due ordini di problemi: meno garanzie da presentare in banca e un rating più alto che fa inevitabilmente impennare i tassi di interesse”.
Gettito tributario a rischio. Secondo Longobardi «questa è la prova che un sistema tributario troppo pesante si accanisce sulle imprese fino a portarle allo sfinimento, se non al fallimento. Attivare linee di credito per pagare le tasse è assurdo: vuol dire la fine del sistema economico. Di fatto l’impresa si trova morsa in una tenaglia, con fisco e credito che tagliano le gambe e chiudono le porte del futuro». Non solo. “Alla fine “, spiega il presidente di Unimpresa , “il conto arriva anche per lo Stato: un’impresa che annaspa diventa un contribuente meno “generoso” e pure il gettito tributario ne risente e non poco sia sul fronte dell’imposizione diretta (a esempio l’Ires) sia su quello dell’imposizione indiretta (come l’Iva)”.
Appello al nuovo Governo: fisco e credito le priorità. Per Longobardi «è chiaro che se il Governo che uscirà dalle urne tra oggi e domani vorrà salvare i saldi di finanza pubblica e dare speranze di ripresa alle nostre imprese dovrà cominciare proprio dalla doppia questione tributaria e creditizia. Purtroppo le forze politiche in campo non hanno presentato programmi con misure concrete per le micro, piccole e medie imprese, asse portante della nostra economia. Ecco perché serviranno idee nuove e soprattutto un’azione volta ad abbattere la pressione fiscale e a rimettere in moto il motore del credito bancario».